La data a cui si guarda è il 3 giugno: probabilmente solo allora l’Italia riaprirà i confini con i Paesi europei, compresa la Svizzera che non fa parte dell’Ue ma aderisce all’area Schengen. Una riapertura a cui si guarda con trepidazione dai due lati della frontiera nel Verbano Cusio Ossola e nei cantoni elvetici del Ticino e dei Grigioni italiani. Perché quella che passa dalle valli dell’Ossola fino alla punta nord del Lago Maggiore più che una frontiera è una cerniera. L’interscambio tra i due versanti è imponente: basti pensare che i frontalieri che dall’Italia raggiungono quotidianamente il Canton Ticino sono (dati aggiornati al marzo di quest’anno) in tutto oltre 67.000. Di questi più di 6.000 vivono nel Vco. Dall’inizio del lockdown sono loro gli unici che hanno potuto regolarmente attraversare il confine, sia pure da un numero di valichi ridotto rispetto alla norma, perché da settimane sono completamente chiusi diversi valichi minori. Il “laaciapassare” per i frontalieri è la fortissima dipendenza di interi settori dell’economia ticinese dalla presenza di lavoratori italiani. Tra questi proprio la sanità, cruciale nel periodo della pandemia, in cui sono impiegati oltre 4.000 frontalieri, medici e infermieri italiani che sono la spina dorsale di molti ospedali del Ticino. Frontalieri a parte però, la chiusura dei confini tra Italia e Svizzera è fonte di profonde lacerazioni non solo economiche ma anche sociali. Proprio in questi giorni i media ticinesi dedicano molto spazio alla questione dei ricongiungimenti familiari, compresi quelli di coppie di conviventi, che al momento continuano a non essere possibili. Del blocco dei confini soffre, e non poco, anche tutto il commercio nelle zone italiane di confine. Dal momento del lockdown sono venute meno le abituali “carovane” di famiglie ticinesi che il sabato e la domenica calano su Domodossola e su Verbania per fare la spesa, e che raggiungono i vari centri commerciali per acquistare un capo di abbigliamento o un paio di scarpe. Tra i settori in sofferenza, sul lato svizzero del confine c’è perfino quello delle professioniste e dei professionisti del sesso. Al di là del confine svizzero è lecito e tassato il mestiere più antico e ricercato della storia, E la clientela è in larga misura composta da italiani in fuga dal fantasma della senatrice Merlin. La pandemia, con il blocco dei confini e i provvedimenti restrittivi ha prima dimezzato i guadagni e poi messo fine al lavoro nel ramo della prostituzione, tanto che in Canton Ticino c’è chi ha lanciato petizioni on line per la riapertura delle case di prostituzione e perfino collette per lavoratrici del sesso disoccupate e finite n stato di povertà, alle prese con la fame o rimaste senza un tetto.
La domanda è dunque, quando si riaprirà. Se dal lato italiano si parla, come detto, del 3 giugno, in Svizzera la consigliera Keller-Sutter ha comunicato al consiglio federale elvetico che, se l’andamento epidemiologico lo permetterà, le frontiere svizzere con Germania, Austria e Francia saranno riaperte completamente il 15 giugno 2020. Nella comunicazione non viene citata l’Italia. Di Italia invece si parla nella campagna promozionale ‘Vivi il Tuo Ticino’ decisa dal Consiglio di stato, in collaborazione con Banca Stato, per rilanciare gli hotel e i ristoranti. Un’operazione da 6 milioni e 200 mila franchi, con buoni sconto per pernottamenti e pranzi e una campagna di marketing mirata a trattenere in Ticino gli svizzeri di altri cantoni che di solito scelgono l’Italia per le loro vacanze. La campagna promozionale parte il 22 giugno.