L’Organizzazione mondiale della Sanità indica il Paese nordico – che ha raggiunto i 20mila contagi – come esempio per la fase 2. E risponde ancora una volta alle accuse Usa: “Abbiamo reagito in tempo”
Svezia sì, Svezia no. Tutti a parlare del Paese nordico e del suo controverso soft lockdown. L’organizzazione mondiale della Sanità invece non ha dubbi, e durante il consueto briefing sulla pandemia ha spiazzato la comunità internazionale. “La gente pensa che la Svezia non abbia fatto nulla, non potrebbe essere più falso”, ha detto il capo del Programma di emergenze sanitarie, Mike Ryan. E ha continuato: “La Svezia ha messo in atto misure di salute pubblica molto forti. Quello che hanno fatto di diverso è che si sono basati su un rapporto di fiducia con la cittadinanza”.
Secondo Ryan gli svedesi sono passati direttamente alla fase di convivenza con il virus, la famosa “fase 2” che tutto il mondo si sta preparando a realizzare. “Se dobbiamo arrivare a un nuovo modello di vita di ritorno alla società senza nuovi lockdown, penso che la Svezia possa essere un esempio da seguire”. Insomma, in Svezia “stanno capendo come convivere con il virus in tempo reale, il loro modello è un strategia forte di controllo e una forte fiducia e collaborazione da parte della comunità. Vedremo se sarà un modello di pieno successo o meno”.
Rispetto al resto del mondo, ben lontano dall’aver impostato un approccio lassista, la Svezia – che ieri ha annunciato di aver raggiunto i 20mila casi di Covid 19 – ha applicato “una forte strategia di sanità pubblica, puntando sulle misure di igiene, di distanziamento, proteggendo le persone nelle residenze assistenziali”. Lo snodo cruciale “è stato il rapporto con la popolazione, che ha avuto una forte volontà di aderire al distanziamento fisico e di auto-regolarsi. In più, il sistema sanitario è sempre rimasto al giusto livello di capacità di risposta all’emergenza”, ha aggiunto Ryan.
Il briefing è stato anche l’occasione per rispondere ancora una volta a Donald Trump. Sia dal briefing che su Twitter l’organizzazione ha rilanciato le parole del direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus: “A partire da domani, saranno tre mesi da quando ho dichiarato un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale per lo scoppio del nuovo coronavirus”. In allegato al tweet, il post del 30 gennaio. Quello in cui l’Oms allertava il mondo sul rischio epidemia.
È una risposta inequivocabile alle critiche del presidente americano che sostiene che l’organizzazione “abbia fallito nell’ottenere tempestive informazioni sulla pandemia”, accusandola di aver insabbiato insieme alla Cina l’emergenza. Come ritorsione Trump ha bloccato i fondi all’Oms, di cui gli Usa erano il primo contributore con 400-500 milioni l’anno (un decimo del bilancio).
“Fin dall’inizio dell’emergenza coronavirus – ha detto Ghebreyesus – l’Oms ha risposto in modo rapido e deciso. Ha suonato l’allarme forte e spesso, spiegando cosa fare per limitare la diffusione dei contagi, con l’impegno a mantenere affidabilità e trasparenza. E ha dato sostegno ai Paesi, facendo la propria parte per distribuire dispostivi di sicurezza e per sostenere gli studi su possibili vaccini”.
“Dobbiamo stare insieme, uniti, per servire l’umanità e fermare il virus”, ha concluso Ghebreyesus.
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