La banca raddoppia i 5 milioni raccolti dalla Diocesi di Bergamo per le famiglie. Una cifra analoga anche all’ospedale Papa Giovanni. Presto un accordo con il Comune di Bergamo per 30 milioni e 5 miliardi di credito per le imprese
Intesa Sanpaolo contribuisce con 5 milioni di euro al progetto “Ricomiciamo insieme” della Diocesi di Bergamo, portandone così il fondo per le famiglie in emergenza Covid a 10 milioni. La cifra si aggiunge a una serie di altre donazioni decise dalla banca per il territorio di Bergamo, la più rilevante delle quali è un versamento di 5 milioni per l’ospedale Papa Giovanni XXIII. Nei prossimi giorni verrà poi siglato un accordo con il Comune di Bergamo in grado di mobilitare altri 30 milioni di euro. Senza contare le linee di finanziamento straordinario a beneficio delle imprese che per la nostra provincia ammontano a 5 miliardi. Il progetto “Ricominciamo insieme” della Diocesi di Bergamo è stato illustrato nei giorni scorsi dal nostro giornale ed è mirato a sostenere le famiglie che si trovano in difficoltà economica e morale e a causa dell’epidemia di Covid. La decisione di raddoppiare la cifra messa a disposizione della Diocesi è spiegata ai lettori de L’Eco di Bergamo dall’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, in questa intervista. «Il dolore che sta vivendo il territorio di Bergamo – esordisce Messina – è sconvolgente. Da questa considerazione siamo partiti per valutare cosa potessimo aggiungere a ciò che già veniva fatto da tutte le forze che vi operano. Nel progetto “Ricominciamo insieme” della Diocesi ho trovato tre parole decisive: animare, motivare, rinascere. È veramente quello che ognuno di noi deve poter garantire a questi territori in grave sofferenza. Poi il documento tocca altri tre valori: amore, dedizione, solidarietà. Questi fanno parte del Dna di Intesa Sanpaolo, sono lo spirito con cui interveniamo da sempre. Ho perciò proposto di supportare il progetto raddoppiano la cifra che la Diocesi aveva già messo a disposizione in modo che l’intervento potesse avere impatto immediato e potesse giungere sino alle famiglie che ne hanno bisogno».
Il progetto della Diocesi non ha solo una dimensione economica, ma anche di accompagnamento spirituale a chi si trova nel bisogno. Come si concilia con l’attività di una banca?
«Trovo che proprio il far perno sulla vicinanza dei parroci alle famiglie sia un elemento di grande valore del progetto della Diocesi: ne garantisce non solo la dimensione spirituale, ma anche l’efficacia pratica. La presenza capillare delle parrocchie permette di comprendere chi ha effettivamente bisogno e intervenire in tutti gli stadi della vita della famiglia. Noi possiamo mettere a disposizione la forza organizzativa della banca, se ritenuto utile da chi sta gestendo l’iniziativa, in modo da far arrivare immediatamente i sostegni dove è necessario. Credo sia il più grande progetto di supporto alle famiglie che viene lanciato sui territori in Italia in questo momento».
Il nostro giornale in questi giorni sta documentando una forte riscoperta delle radici della nostra comunità. Lei parlava del Dna della vostra banca. Anche Intesa Sanpaolo sta recuperando le proprie radici?
«Assolutamente. Abbiamo sempre avuto la vocazione a supportare la collettività. Nei tre anni passati abbiamo lanciato un grande progetto sulla povertà. Ma proprio in questi giorni abbiamo ritrovato dei valori unici. Tutte le persone della banca, a cominciare dalle filiali, stanno cercando di dare supporto alla comunità, infondendo fiducia, incoraggiando. Mi arrivano centinaia di mail da parte delle persone nelle nostre filiali che esprimono l’orgoglio di poter aiutare le persone, le organizzazioni, le aziende. Noi siamo in profonda sintonia con le migliori fondazioni italiane, che rappresentano circa il 20 per cento del nostro capitale, sono veri e propri modelli di attenzione al sociale. Pensi solo al ruolo della fondazione Cariplo in questa regione. Attraverso la distribuzione dei nostri dividendi siamo tra i principali sostenitori dell’opera sociale delle fondazioni. Nella nostra banca c’è una combinazione unica tra valori gestionali e etici, che ognuno di noi avverte come priorità assoluta. Ma oltre a ciò abbiamo un elemento che ci caratterizza e permette di fare la differenza».
Quale?
«Le dimensioni, la forza, la capacità di ottenere risultati e, mi permetta, il prestigio che abbiamo nei confronti dei grandi investitori internazionali. La nostra banca è considerata un modello di gestione non soltanto per come è gestita, ma anche per la capacità di fare le cose utili per la collettività, che è quello che oramai tutte le grandi istituzioni di successo devono saper dimostrare ai grandi investitori internazionali».
Oltre alla partecipazione al progetto della Diocesi avete messo in campo altri interventi per l’emergenza bergamasca. Ce ne può parlare?
«Abbiamo messo a disposizione 5 milioni per l’ospedale Papa Giovanni XXIII. Un ospedale eroico, per i suoi medici, per i suoi infermieri. È un ospedale che ha attraversato condizioni di stress, ora, speriamo, in via di soluzione: riteniamo utile un nostro intervento per il potenziamento della macchina sanitaria. Credo sia un ulteriore dimostrazione di come nel momento del bisogno noi cerchiamo di esserci».
Avete in comune anche un accordo con il comune di Bergamo?
«Stiamo avendo contatti continuativi con il Comune per mettere a punto la formula dei prestiti di impatto, a lunga scadenza e con una componente a fondo perduto: una soluzione innovativa di finanziamenti per iniziative sociali, sanitarie, di ricerca, per la ripresa del commercio e anche per la mobilità. Nei prossimi giorni sarà possibile annunciare un accordo con il Comune: vogliamo mettere a disposizione cifre importanti, nell’ordine di almeno 30 milioni».
L’epidemia ha avuto un effetto devastante anche sulle imprese. Che cosa avete messo in campo per loro?
«Siamo una banca con grandissima potenza di erogazione del credito. Abbiamo deciso di stanziare 50 miliardi di nuovo credito per la rinascita del nostro Paese, di questi, 5 miliardi sono disponibili per la provincia di Bergamo. Sono finanziamenti per le aziende che vogliono ripartire. Che hanno programmi di sviluppo e investimento, che vogliono cogliere una fase come quella attuale. Anche per grandi progetti di sviluppo immobiliare, la rigenerazione di zone con housing sociale, mobilità sostenibile, luoghi per lo studio e la ricerca dei giovani, centri di ricerca e innovazione. Il settore delle costruzioni è importantissimo perché non ha un impatto immediato sul Pil».
La preoccupazione sulla ripresa del nostro Paese è forte. C’è chi vede nero e pensa che per molte attività non sarà possibile recuperare. Lei che cosa prevede?
«Animare, motivare, rinascere. Dobbiamo guardare avanti con la forza del “rinasceremo”. Noi ce la faremo. Specialmente in territori con grandi energie come quello di Bergamo. Se consideriamo le peggiori previsioni sul Pil, l’impatto pesantissimo sarà in questo trimestre, il peggiore dagli anni ’30, ma già dal terzo trimestre in poi un recupero si vedrà, poi nel quarto potrà esserci una stabilizzazione. L’anno prossimo sarà un anno di crescita. Non dobbiamo farci prendere dallo sconforto guardando all’immediato, ma preparare oggi quanto è necessario perché il nostro Paese, le sue aziende siano in grado, fra sei mesi, di avere un recupero, e addirittura di guadagnare quote di mercato nel quadro europeo e internazionale. La forza nasce dalla capacità di persone di avere dei progetti. Il potenziale che esiste in questo Paese, se aiutato, è unico in Europa, in particolare in territori dove la gente è operosa come a Bergamo. Noi ce la faremo, a prescindere da chi ci governa».
È in gioco anche un modello di sviluppo. Voi all’inizio dell’anno avete lanciato un “green new deal”. Ci credete ancora?
«Ci crediamo ancora: con 50 miliardi, siamo leader in termini di finanziamenti all’economia circolare e alla green economy. Questo è un fattore in grado di fare la differenza, se già da oggi lanciamo dei progetti che puntano a questa nuova frontiera. La sostenibilità, i concetti di salute e salubrità, saranno fattore di crescita».
Lei ha detto che questo momento rafforza la vostra offerta nei confronti di Ubi Banca, perché?
«Ubi è una buona azienda, ben gestita. Ma nelle fasi in cui c’è uno tsunami come oggi, una banca di medie dimensioni rischia di non avere la scala per una navigazione sicura in un mare in tempesta. È un passaggio che porta inevitabilmente a un’ulteriore concentrazione tra banche e anche tra aziende. Bisogna scegliere con chi navigare. Mettere insieme due realtà, che hanno un’affinità indiscutibile, crea un campione europeo con tutto il vantaggio per i territori. La combinazione può consentire di portare forti benefici al territorio. In ogni direzione regionale noi diamo al direttore regionale la facoltà di erogare 50 milioni di euro di fidi, immagini che forza potrebbe scaturire dalla messa a fattor comune delle due realtà, soprattutto con la chiara indicazione che nessun fido verrà ridotto nella combinazione delle due aziende. Avremmo una incomparabile capacità di erogare nuovi finanziamenti. E poi da parte di Intesa Sanpaolo c’è il programma di nuove assunzioni, lasciando alla banca di Bergamo un capo di provenienza Ubi, perché la mia intenzione è valorizzare le ottime risorse che vi operano».
Marcello Raimondi, L’Eco di Bergamo