Stare distesi sul divano a guardare la televisione, in tempi di quarantena, non è così strano. Non lo era nemmeno prima ma adesso i momenti morti sono probabilmente di più, anche se si deve badare ai bambini, preparare la cena, tele-lavorare. E in ognuna di quelle pause è più probabile che venga in mente di avere voglia di un dolce per la sera, di ricordarsi qualcosa che non è stato comprato al supermercato. La soluzione per tutto è l’e-commerce. Insomma, oggi più che mai «siamo consumatori 24 ore su 24», spiega a ItaliaOggi Andrea Facchini, business design leader Ibm services Italia. «Lo eravamo anche in passato ma, adesso, l’impossibilità di uscire di casa e l’automazione della nostra vita, tra cui lo smart working, facilita questa tendenza. Allora, se la tecnologia mi aiuta con un processo di acquisto veloce, la mia giornata si riempie di micro-momenti in cui non solo faccio la spesa pianificata ma appago anche desideri improvvisi. Non è altro che l’accentuazione del grab&go», ossia l’acquisto di prodotti già pronti, per esempio alimentari come i piatti pronti della gdo (grande distribuzione organizzata). Ma questa volta non c’è bisogno di passare davanti a una vetrina per farsi venire una voglia. Basta il pensiero.
Si moltiplicano nel tempo le occasioni di acquisto e aumentano anche i target, o meglio micro-target di clienti, perché ognuno ha i suoi desideri, passioni, propensioni. Del resto, «gli stessi target sono dinamici», precisa Facchini. Ne nascono in continuazione, sempre secondo il manager, «monitorando per esempio quale è il colore più postato sui social, si riconosce l’esistenza di un micro-target, da cui le aziende possono prendere spunto per impostare nuove campagne creative». Le aziende devono continuare a monitorare ogni punto di contatto col grande pubblico, fisico (come i negozi, che non perdono d’importanza, anzi) o digitale (dai cellulari agli smart speaker, senza dimenticare la geolocalizzazione). C’è molta curiosità in tal senso, stando almeno alla ricerca Ibm Meet the 2020 consumers driving change sui trend di cambiamento dei consumatori nel mondo (Italia compresa). Così il 37% dei clienti ha già provato a fare compere grazie alla ricerca vocale, il 32% basandosi solo sui social e il 31% dopo una ricerca visuale. Variegati anche i fattori che fanno concludere un acquisto, spaziando dal prodotto che semplifica la vita (53%) a quello sostenibile (45%) e senza trascurare il fatto di essere disposti a modificare le proprie abitudini di spesa, magari pagando un sovrapprezzo, se il brand è green (77%) o inserito nella catena dell’economia circolare (72%).
«L’importanza del negozio fisico rimane perché, dall’indagine, emerge che il ritiro in negozio sta crescendo molto velocemente, in quanto spesso più rapido della consegna a domicilio», prosegue il business design leader Ibm services Italia. «Inoltre l’82% degli acquirenti dichiara di comprare qualcosa in più rispetto all’ordinativo online, quando va in negozio a ritirare quanto ha acquistato via e-commerce. È qui che entra in campo un nuovo concetto, quello degli acquisti aggiuntivi». Certo è che il negozio fisico deve offrire un’esperienza d’acquisto originale e in sintonia col suo pubblico, se vuole riempire di più i carrelli; ma «negli Usa c’è persino chi abbina brand e artisti in rappresentazioni artistiche, come Showfields, pur di coinvolgere la clientela», ricorda il manager.
Se crescono le occasioni di vendita, vuol dire che i marchi devono aumentare i budget marketing e comunicazione, per spingerle tutte? «Gli investimenti non sono infiniti», conclude Facchini. «Meglio monitorare i vari micro-target, focalizzarsi su quelli che portano maggior valore e creare una gerarchia tra i segmenti a maggior e minor potenziale. E, giusto per ritornare al tema dell’e-commerce ai tempi del Covid-19, ricordiamo che le nuove tecnologie possono abbattere fino a un terzo dei tradizionali costi promozionali».
Marco A. Capisani, ItaliaOggi