Un appello che, da Brescia, sta raccogliendo migliaia di condivisioni in tutta l’Italia propagandosi come un’onda: l’hashtag #iopagoifornitori nei primi tre giorni ha registrato oltre 60.000 visualizzazioni su LinkedIn e centinai di messaggi e interazioni, che continuano a crescere, per poi iniziare la sua cavalcata anche su Facebook. Lo ha lanciato Alfredo Rabaiotti (nella foto), titolare dell’agenzia Becom e da oltre vent’anni consulente d’impresa, dopo aver ascoltato i timori di un centinaio di imprenditori, preoccupati di trovarsi a fine mese con tanti, troppi insoluti, giustificati con l’alibi della crisi da Covid19. “Nella maggior parte dei casi si tratta di una scusa, che provocherà un danno enorme al nostro tessuto economico, creando un circolo vizioso per l’economia italiana, fatta perl opiù da piccole o micro imprese – sottolinea Rabaiotti -. Soprattutto nei momenti difficili dobbiamo fare rete tra aziende e mostrare senso responsabilità nei confronti del nostro Paese”. Una corsa contro il tempo, visto che stiamo ormai arrivando al primo fine mese di questa crisi e già si sentono le voci minacciose di realtà che decidono deliberatamente di non pagare i fornitori. Una paura molto sentita, confermata dalle numerose telefonate ed email che Rabaiotti sta ricevendo da molti imprenditori. La preoccupazione è sempre la stessa: “È inutile cantare l’inno nazionale dai balconi se poi non siamo noi per primi a mantenere le promesse”. L’hashtag #iopagoifornitori si sta propagando sulle pagine social di tante aziende, e l’eco è arrivata anche sui tavoli di istituzioni e associazioni di categoria, che hanno già mostrato interesse per renderlo un impegno ufficiale. Come? “Attraverso l’adesione a un codice etico che permetta di valorizzare le imprese che vogliono esser parte del patrimonio imprenditoriale italiano di valore – annuncia Rabaiotti -. Desidero sedermi con i diretti interessati, bravi tecnici, amministratori pubblici e capitani d’azienda, per definirlo. Parliamo di un codice che, nella sua prima edizione, contempli il rispetto dei patti con i fornitori, e che nel prossimo futuro si possa estendere abbracciando temi di sostenibilità, qualità e benessere per i dipendenti in termini di evoluzione professionale e di garanzie di qualità per il cliente. Rendere riconoscibili queste realtà con un marchio distintivo, permetterà di valorizzare le nostre vere eccellenze, facilitando le relazioni di collaborazione, evitando, in prima istanza, che vengano spremute a fronte della totale mancanza di una legislazione a tutela di chi subisce gli insoluti”. Ma con questo hashtag si è aperto il vaso di Pandora: «Ho sentito di commercialisti che consigliano ai propri clienti di non pagare i fornitori. Alcuni esponenti di associazioni di settore lo considerano territorio minato. Considero questo atteggiamento una protezione per quelle imprese che, di fronte a una scarsa capacità di pianificare le proprie risorse, fanno conto sulle casse dei fornitori. Se non si modificherà questo modus operandi risvegliando, di conseguenza, la responsabilità individuale, non potrà di certo essere lo Stato a rispondere alle nostre mancanze». «In questo periodo l’orologio sta ticchettando veloce, poiché sono già moltissime le aziende che hanno mandato comunicazioni di spostamento dei pagamenti. La cosa assurda è che tutte le lettere che oggi mi sono state inoltrate da alcuni imprenditori sembrano frutto di un copia e incolla dettato da una tendenza più che da una necessità. E’ fondamentale che questo messaggio passi quanto prima, poiché se nei prossimi mesi si fermano i pagamenti sarà veramente un colpo pesante per tutti, soprattutto per le pmi». Ogni piccolo insoluto rappresenta una ulteriore ferita in un tessuto economico e sociale già messo a dura prova. Da qui la chiamata a una presa di posizione comune per chi sente forte il richiamo di fare qualcosa per il proprio paese: “Bisogna pagare i fornitori, solo così potremo uscire da questa depressione e non generarne altra, dimostrando all’Europa e al mondo di che pasta sono fatti gli imprenditori italiani”.