Se in Cina a marzo non rallentano i contagi, ad aprile scatterà il coordinamento internazionale come nel 2008 per fare spesa pubblica. Il resto lo faranno la Fed a tutto campo e la Bce comprando titoli pubblici per consentire ai governi di spendere. Sperando che ciò non accada, l’Italia eviti parole inutili e Conte apra i cantieri a partire dal Mezzogiorno
(di Roberto Napoletano per Il Quotidiano del Sud) È umanamente impossibile capirlo in Italia se tutte le tv continuano a bombardare a ogni ora del giorno e della notte sul tema unico del Coronavirus italiano. Nemmeno un gigante della informazione della tv pubblica come Bruno Vespa, che ha dato una lezione di buon giornalismo e di buon senso, può arginare il fiume in piena del cupio dissolvi da psicosi italiana. Tra un bollettino e l’altro sono saltati gli argini. Dopo avere dato il massimo per autoscreditarci pur facendo come governo e protezione civile molto più degli altri Paesi europei, dobbiamo almeno capire che rimaniamo per fortuna un caso periferico agli occhi degli investitori globali nello svolgimento del tema unico Coronavirus.
Se questa malattia epidemica rallenta in Cina nei contagi e, soprattutto, rallenta da marzo per cui ci si convince che si estinguerà in un tempo ragionevole come la Sars, avremo la terza recessione italiana ma non la terza Grande Crisi Globale. Se, viceversa, si prevede che duri fino a maggio, allora ad aprile il Fondo Monetario Internazionale farà scattare un coordinamento internazionale tipo Lehman e si dovrà sapere come si fa con la politica di bilancio. La decisione è stata presa nel G 20 di una settimana fa con i ministri economici e i banchieri centrali tenutosi a Riyad, in Arabia Saudita, e questo di per sé indica la gravità della situazione che è quella di una crisi internazionale. Si prenderà atto, a quel punto, che il Coronavirus butta giù l’economia mondiale esattamente come accadde con Lehman e arriverà, quindi, la proposta del Fondo monetario internazionale sotto il cielo di un G 20 oggi guidato dall’Arabia Saudita, l’anno prossimo dall’Italia. Che non è (tanto) politica monetaria, quanto piuttosto spesa pubblica per incentivare una risposta delle imprese globali – americane, europee, italiane – che hanno dovuto bloccare la produzione perché mancano i pezzi prodotti in Cina.
Come politica monetaria c’è di sicuro spazio in America per fare molto di più in tempi brevi. Da noi in casa Bce puoi comprare titoli pubblici e immettere liquidità, ma soprattutto puoi comprare titoli pubblici attraverso cui i governi spendono. L’alternativa è agire sui tassi che però sono già bassissimi e non c’è domanda mentre per l’acquisto di titoli pubblici – a parte le solite critiche nordiste sull’abuso della leva monetaria – lo spazio operativo c’è. Se le politiche pubbliche devono fare politiche di spesa oltre le imposte che raccolgono nei singoli Stati, allora è evidente che le banche centrali possono aiutare. Anzi, devono farlo, perché sanno che a fronte del loro intervento c’è una ripresa dell’economia che, altrimenti, non vi sarebbe.
Nel frattempo, prima che si capisca quale sarà l’itinerario globale da percorrere, ci sono per l’Italia due punti fermi. Primo, si vive alla giornata e tutti i segnali in tutte le direzioni vanno colti con freddezza e precisione geometrica. Secondo, ridurre i toni e le parole inutili. Il panico è un costo molto forte che non ci possiamo permettere anche perché, almeno questo è chiaro a tutti, non ci sono livelli insostenibili sul piano sociale e, quindi, va drasticamente ridotta la psicosi italiana.
Il governo non è vero che è stato inerte, anzi ha fatto il suo, poi è esploso il tema della frantumazione della catena di comando e delle estemporaneità dei poteri locali regionali. Sono state prese nuove misure e per capire se sono state scelte avventate o no ci vorrà tempo, ma intanto sono state percepite come l’inizio di una preoccupazione straordinaria in casa e fuori. Questo ha fermato tutto. Questo, forse, è stato l’errore.
La prima conseguenza sono le imprese che non vendono perché la gente non compra, non si esporta più. Poi ci sono turismo e servizi azzerati, non arrivano vacanzieri e non si viaggia più. Abbiamo perso un mese di attività. C’è un po’ di telelavoro che va incentivato e aumentano farmaceutico e paramedico, ma si fanno i conti con una battuta di arresto complessivamente molto forte, imprevista e imprevedibile, che ha colpito soprattutto noi perché siamo un Paese dove c’è più attenzione sul tema e non siamo rimasti con le mani in mano. Tutto ciò si va a cumulare al fatto che stavamo già peggio di come avevamo previsto per la caduta del prodotto nel quarto trimestre dell’anno scorso a seguito di una caduta pesante della Germania e, quindi, due trimestri di seguito di crescita negativa e di conseguenza la recessione tecnica sono certi.
Siamo sotto zero e, come nel caso della Sars, non ci resta che sperare in un forte rimbalzo nel trimestre successivo in Cina e in un piano shock italiano di investimenti pubblici a partire dal Mezzogiorno bandendo allarmismi e paure contagiose. E pensare che in un “fuori busta” al G 20 di Riyad era stato proprio il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a delineare i due scenari, a seconda della durata della crisi, e a invocare una risposta coordinata che faccia trasparenza, sangue freddo e buona comunicazione. Anche perché poi c’è chi cerca di sfruttare a proprio beneficio certi eventi. Questo vale fuori, per Shanghai e Hong Kong, e in casa nostra per lo sciacallo politico di turno.