(di Roberto Napoletano per Il Quotidiano del Sud) Non aveva il CoronaVirus il capostazione di Casalpursterlengo. Non si sentiva bene, era molto raffreddato, ma non è risultato positivo alla prova del tampone. Siamo contenti. Nel dubbio, però, lunedì scorso nessuno ha voluto prendere il suo posto e abbiamo bloccato l’Italia ferroviaria.
Abbiamo sperimentato i danni non da CoronaVirus ma da paura di CoronaVirus. Che sono un’Italia ferroviaria, già al rallentatore dopo il deragliamento di Lodi, costretta a fermarsi. Migliaia di passeggeri hanno dovuto fare un giro tra Verona, Padova e Venezia per andare da Bologna a Milano. Sorvoliamo sui danni alla reputazione. La foto dei militari davanti al Duomo di Milano fa il giro del mondo e è oggettivamente devastante per l’economia italiana. Un militare con la mascherina e il mitra in mano sulla piazza vuota e il Duomo chiuso urlano al mondo la fragilità italiana. Dicono che abbiamo subito militarizzato un’emergenza. Meglio: abbiamo trasformato un’emergenza sanitaria in una emergenza civile. I militari intorno alla zona rossa, nel Lombardo-Veneto, per chi ci osserva dal mondo, sono lì perché devono dimostrare di tenere sotto controllo la situazione e, quindi, si fa strada il dubbio (infondato) che tutto ciò nasce forse dal fatto che non hai la situazione sotto controllo.
Povera Italia! Abbiamo perso il senso della comunicazione perché ciò che è accaduto sfida il senso che noi abbiamo del nostro Stato e della nostra solidità istituzionale. C’è un senso profondo di smarrimento perché la molteplicità di poteri locali più o meno potenti ha frammentato le ragioni unitarie che connotano il sistema Paese sul piano dei servizi e finanziario, ma anche infrastrutturale e industriale. Quello che è accaduto ci fa capire perché siamo gli ultimi in Europa a prescindere dal CoronaVirus. Abbiamo svalutato le cose importanti. Se fai il massimo di allerta devi anche dimostrare di essere capace di uscire dal massimo di allerta e per fare questo hai bisogno di fare ordine nello Stato e di avere una catena di comando che tutti condividono e rispettano. Non si tratta di togliere poteri ma di coordinarli. Anche chi è convinto a torto di essere meglio degli altri deve, però, accettare di farsi coordinare.
Quando ci fu nel 2012 il terremoto in Emilia-Romagna e furono colpite le capitali industriali della manifattura sartoriale si fece insieme il calendario e, soprattutto, lo si rispettò. Si inaugurarono prima le scuole, poi le fabbriche, poi le case, poi le chiese e poi i castelli. Si ragionò da Sistema Paese. Questo è il problema dell’Italia di oggi, unire Nord e Sud, capire le ragioni globali di un Paese che si ritrova. Se l’emergenza servirà a questo, panico compreso, usciremo dalle crisi di oggi e da quelle di domani. Altrimenti rimarremo nel pantano.