A Courmayeur, per esempio. Due mesi fa, in modo da prepararsi per tempo alla stagione sciistica, il Comune ha investito 20 mila euro. E si è rivolto a una ditta specializzata per verificare la «sussistenza della contestuale dimora abituale e della residenza anagrafica del contribuente e del proprio nucleo familiare». Ma anche alla Maddalena, in Sardegna, dove il Comune si era mosso da tempo recuperando mezzo milione. Con poca fantasia li chiamano furbetti dell’Imu. Sono quelli che trasformano, per il Fisco, una seconda casa in prima casa, tecnicamente abitazione principale. Perché sulla seconda casa si paga l’Imu mentre sulla prima no. Ma sbaglia chi pensa che il fenomeno sia confinato solo e soltanto alle zone turistiche di lusso. A Boiano, in Molise, il Comune ha affidato la pratica a una società esterna che ha già notificato 506 avvisi per un totale di 475 mila euro. Non proprio spiccioli.
Ma quante sono le «false prime case» che potrebbero sparire se passasse l’emendamento alla manovra presentato dai relatori e sul quale il governo ha annunciato il suo no? Trattandosi di una forma di evasione di fatto, ci si deve accontentare delle stime. Ma sono stime autorevoli perché arrivano proprio dal governo. Il gettito previsto dalla stretta sull’Imu è di 200 milioni di euro. Sul numero delle case il ragionamento è più complesso. La stima è di 135 mila «false prime case» ma si tratta di un numero ballerino. Per l’Imu sulla seconda casa si pagano in media 746 euro l’anno. Ma la somma è molto variabile a seconda del Comune, che fissa l’aliquota all’interno di una forchetta decisa dallo Stato. E le stime alla base dell’emendamento mettono in conto che questo fenomeno potrebbe essere più diffuso proprio nei Comuni dove è più alta la rendita catastale della casa e anche l’aliquota fissata dal Comune. Più Courmayeur che Boiano, insomma. Anche se non solo.
Distinguere le «false prime case» da quelle vere non è così semplice, anche quando lo stesso nucleo familiare ne ha più di una. Sembra una contraddizione in termini ma non lo è. Se marito e moglie lavorano stabilmente in due città diverse le loro due case sono per il Fisco tutte e due abitazioni principali. E quindi hanno diritto entrambe a non pagare l’Imu. Non è una situazione così rara, specie adesso che il lavoro bisogna inseguirlo. Ma non sempre è così. L’associazione degli avvocati matrimonialisti stima che il 7% delle separazioni sia un falso e serva solo a frodare il Fisco. Ma c’è anche chi si limita a sdoppiare la residenza confidando sulla mancanza di controlli. Dichiarare la falsa residenza all’anagrafe è già di per sé un reato, quello di falso in atto pubblico. Ma un’accelerazione è arrivata a luglio con una sentenza della Cassazione: «Le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo e possono essere superate da una prova contraria». Una formidabile palla alzata per quei Comuni, tanti, che non riescono a far quadrare i conti.
Lorenzo Salvia, Corriere.it