Sono 7,3 milioni gli italiani che soffrono di ipoacusia, cioè il 12% della popolazione. Sono aumentati del 4,8% tra il 2012 e il 2018. Di più tra gli over 80 (+12,2% nello stesso periodo) e tra le persone nella fascia d’età 46-60 anni (+9,8%). Si può stimare che nel 2025 il numero di persone con un calo uditivo autodiagnosticato saranno 8 milioni e che diventeranno tra i 10 e gli 11 milioni nel 2050. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis. Alcuni disturbi dell’udito appaiono molto diffusi. Al 54,7% degli italiani capita di chiedere alle persone di ripetere ciò che hanno appena detto, il 45,5% ha difficoltà a percepire le voci sussurrate, per il 26,9% è difficile ascoltare i programmi alla tv o alla radio. Queste situazioni hanno un impatto sugli aspetti relazionali, sia in famiglia che al lavoro, e determinano una percezione di insicurezza nel 39,3% dei casi.
Basso il ricorso alle protesi acustiche, ma migliorano la qualità della vita. Solo il 29,5% degli italiani che soffrono di problemi di ipoacusia utilizza una protesi acustica. Ma con l’81% degli utilizzatori di protesi acustiche che si dichiara molto o abbastanza soddisfatto (+11% rispetto al 2012), l’Italia si colloca ai vertici europei nella graduatoria di gradimento complessivo, seconda solo alla Francia (82%), ma al primo posto come gradimento da parte di coloro che si sono avvalsi del sistema di rimborso previsto dal Ssn (86%). Per le persone che utilizzano una protesi sono migliorati diversi ambiti della propria vita: la capacità di comunicare (78%), il senso di sicurezza (74%), le relazioni familiari (73%), la vita sociale (73%), la salute mentale (72%), la fiducia in se stessi (69%), il senso di indipendenza (68%), le relazioni professionali (67%). L’85% degli utilizzatori si sente più sicuro a guidare e ad affrontare il traffico. E solo il 6% dei possessori afferma di non utilizzare il proprio dispositivo. La soddisfazione espressa dagli utilizzatori di protesi è molto elevata. Riguarda la professionalità dell’audioprotesista (86%), le caratteristiche del prodotto e la qualità del servizio di prova (86%), il counseling (85%), l’efficacia complessiva in termini di miglioramento dell’udito, come la chiarezza percepita del suono (83%). Anche nella popolazione generale sono importanti gli aspetti di comfort e innovazione, come poter disporre di un apparecchio poco visibile (38,5%), di una tecnologia amica e insieme innovativa (il 33,4% vorrebbe uno strumento all’avanguardia), mentre per il 28,8% è importante la facilità e l’autonomia di utilizzo. Il 32,3% riconosce l’importanza dei controlli medici periodici e attribuisce valore all’avere a disposizione un tecnico specializzato, come l’audioprotesista, in grado di intervenire e di fornire un aiuto ogni volta si renda necessario. Segue la possibilità di poter cambiare il dispositivo facilmente e in tempi molto brevi nel caso di un guasto o un peggioramento (30,2%) e nel caso in cui sia disponibile una innovazione tecnologica (23,2%).
Tra produzione e distribuzione, il settore comprende circa 5.000 audioprotesisti, 800 audiometristi, 15.000 addetti al back office, 500 addetti alla produzione, 2.100 centri acustici full time e 3.000 centri di assistenza part time, con una copertura che raggiunge l’80% dei comuni italiani. Nel 2017 la somma investita in R&D dalle più importanti aziende produttrici a livello mondiale è stata pari a 418 milioni di euro, in costante crescita dal 2010, a conferma della significativa spinta all’innovazione tecnologica del comparto.
“Il dato che emerge con chiarezza è la capacità del sistema delle protesi acustiche ‒ fatto di produzione ad alto contenuto innovativo e di un servizio professionale, personalizzato e continuato ‒ di rispondere in maniera efficace ai bisogni dei pazienti”, ha detto Ketty Vaccaro, Responsabile dell’Area Welfare e salute del Censis. “La soddisfazione del paziente è testimoniata dai dati (l’81% di soddisfatti della propria protesi acustica, l’86% della professionalità dell’erogatore) che corrispondono a livelli di soddisfazione tra i più alti d’Europa”.