Internet e i social network sono un’invenzione straordinaria, hanno permesso a milioni di persone di esprimersi, di mettersi in mostra, di dialogare senza i limiti del tempo e dello spazio. Ma sembrano anche aver fatto esplodere l’aggressività, il bullismo, le offese gratuite. Gli utilizzatori della rete, soprattutto i più giovani, sono sostanzialmente privi di difese. Mentre i leoni da tastiera, protetti sovente dall’anonimato, godono di una immunità di fatto a livello globale.
Il problema è complesso, e non riguarda certamente solo l’Italia, ma finora nessuno è riuscito a trovare un argine in grado di garantire la tutela dell’onore della dignità, dell’immagine, del buon nome delle vittime. Ogni tentativo di regolamentazione si scontra con il dogma della libertà di espressione, considerato un valore non negoziabile da gran parte degli utilizzatori di Internet, fin dai primordi. In realtà c’è un altro motivo, più concreto: l’anonimato è la benzina che fa decollare il business del web perché, protetti dal nickname gli utenti si sentono più liberi di esprimersi, producono quindi contenuti più originali, aggressivi, senza freni inibitori, e questo a sua volta attira utenti come le api in cerca del miele. Per chi gestisce il business questo significa contatti, uguale pubblicità, uguale fatturato. La gente paga per vedere due persone in mutandoni su un ring che si tirano pugni, vuole vedere scorrere il sangue, e anche i discorsi o i video violenti fanno audience. Così funziona.
L’altro lato della medaglia è la quasi impossibilità di difendersi da aggressioni, fake news sempre più sofisticate, insulti, offese, diffamazioni. Nei giorni scorsi tutti i giornali hanno dato notizia delle decine di messaggi di odio ricevuti quotidianamente, via social, dalla senatrice a vita Giuliana Segre, quasi sempre collegati al suo essere ebrea, tanto che il senato ha deciso di istituire una commissione «per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza»: lodevole iniziativa, ma è come tentare di svuotare il mare con un secchiello.
In realtà non è che manchino le norme in grado di tutelare le vittime della diffamazione. Il tribunale di Milano ha addirittura elaborato una tabella che quantifica in forma schematica il risarcimento del danno ottenibile in funzione delle modalità con cui si articola il fatto lesivo (si veda l’approfondimento a pagina 8). Si va da mille a oltre 50 mila euro di risarcimento. Il problema è che, mentre la diffamazione a mezzo stampa, radio o televisione è molto facile da accertare e da perseguire (infatti, i direttori di giornali o di testate radiotelevisive hanno l’assillo costante delle querele che hanno ricevuto o che potrebbero ricevere), quella commessa online lo è molto meno. Oltretutto sembra si stia affermando un filone giurisprudenziale secondo il quale i social network godono di una scarsa considerazione e credibilità, quindi non sono idonei a ledere la reputazione altrui. Ragion per cui spesso le querele vengono archiviate. E molto, molto più spesso, nemmeno vengono proposte.
Per dare un contributo alla civilizzazione di quello che attualmente è ancora un vero e proprio Far West, ItaliaViva ha proposto nei giorni scorsi una sottoscrizione via web per chiedere che «ad ogni account corrisponda un nome e un cognome di una persona reale, eventualmente rintracciabile in caso di violazioni di legge». L’obiettivo delle 10 mila firma sembra essere facilmente raggiungibile perché in pochi giorni se ne sono già raccolte oltre la metà.
L’uomo, secondo la definizione datane da Aristotele, è un animale politico, e in quanto tale portato a unirsi ai propri simili per formare delle comunità. Siamo persone in quanto viviamo in società, interagiamo con i nostri simili, siamo riconosciuti e riconoscibili. Perché su Internet dovrebbero valere regole diverse? Significa forse che non è uno strumento di relazione ma un inutile giocattolo? È ovvio che non ci può essere libertà senza responsabilità: chi non è disposto ad assumersi le conseguenze dei propri gesti e delle proprie parole gioca sporco, e non costruisce nulla.
Oggi Internet sembra ancora in mezzo al guado, impegnato nella fase di passaggio dall’irresponsabilità, tipica dell’età infantile, alla capacità di esporsi in prima persona, tipica di quella adulta. Ma sembra che la conquista di una propria maturità da parte della rete, al momento sia ostacolata proprio dai gestori della stessa, che preferiscono puntare tutto sui numeri, piuttosto che sulla qualità.
Marino Longoni, ItaliaOggi