65mila ristoranti in 17 Paesi – di cui 20mila in Italia –; 14 milioni di recensioni, 21 milioni di visite mensili e 16 milioni di download dell’App.
Dal suo lancio avvenuto in Francia nel 2007 grazie a un team di professionisti ed esperti del mondo dell’hospitality e della tecnologia, in poco più di una decina d’anni TheFork ha rivoluzionato il mercato dei ristoranti, mettendo questi in contatto con gli utenti secondo i principi dello Yield Management: prenotando online diventa infatti possibile applicare alla ristorazione la tariffazione flessibile già diffusa nei viaggi, con prezzi che variano a seconda della disponibilità.
Per gli utenti, TheFork rappresenta un mezzo semplice e veloce per scegliere cosa mangiare, dove e quando: tramite il sito e la App trovano il locale desiderato – avvalendosi delle recensioni e utilizzando filtri come la localizzazione, il tipo di cucina e il prezzo medio –, verificano le disponibilità in tempo reale e prenotano in pochi secondi con conferma immediata 24 ore su 24.
I ristoratori, dal canto loro, pagano un fee per ciascun utente che prenota tramite i canali di TheFork e hanno a disposizione un software, TheFork Manager, che ottimizza la gestione delle prenotazioni e aiuta ad acquisire e fidelizzare i clienti.
Nel 2014, TripAdvisor, il portale diventato una sorta di ‘nemico pubblico’ di ristoratori e critici gastronomici, acquista la francese Lafourchette per 140 milioni di dollari e l’anno successivo la neonata TheFork ingloba pure i due servizi similari restOpolis e MyTable, lanciando poi TheFork.it come servizio sostitutivo. Contrariamente a TripAdvisor, TheFork consente solo a chi prenota, consuma e paga di lasciare una recensione e un giudizio sul ristorante, tanto che molti hanno visto nell’acquisizione un modo per aiutare la piattaforma statunitense a placare le polemiche suscitate dalla falsità di alcune recensioni pubblicate da persone inesistenti su pasti mai consumati, a volte in ristoranti anch’essi inventati di sana pianta.
All’inizio si credeva sarebbe stato un mezzo flop: «in Italia servizi come TheFork storicamente non hanno mai riscosso grande successo, servendo una limitatissima porzione di nerd troppo pigri per alzare il telefono per prenotare», scriveva Dissapore poco dopo il lancio. Sbagliato: nel 2016 è stato stimato che il fatturato aggiuntivo portato ogni mese dalla piattaforma a un locale è pari a 40mila euro, e secondo i dati elaborati dall’ufficio economico Confesercenti e CST nel 2018, non si tratta solo ed esclusivamente di una questione di soldi.
Nei cinque anni tra il 2012 e il 2017 i pubblici esercizi in Italia sono aumentati quasi del 7%, raggiungendo quota 334mila (il numero più alto numero d’Europa), per un settore che genera un fatturato di 76 miliardi di euro e dà lavoro a 730mila dipendenti, di cui 8 su 10 con contratto a tempo indeterminato. L’espansione è stata trainata in primo luogo dal culto italiano per il ‘mangiar fuori’, ma incidono pure una forte domanda turistica e l’affermazione dei cibi d’asporto. L’innovazione è cresciuta, al punto che nove locali su dieci sono su web e social, il 22% è attivo sulle piattaforme online di prenotazione e delivery – The Fork e Deliveroo in primis – e il 76% degli imprenditori nel 2017 ha effettuato investimenti in macchinari e pratiche innovative.
«Quando abbiamo creato La Fourchette in Francia avevamo tre idee in mente. La prima era quella di un sito, che all’epoca non c’era, sul quale trovare facilmente ristoranti. La seconda era quella di introdurre la prenotazione online poiché nel 2007 si poteva riservare quasi tutto su internet, dall’hotel all’aereo, passando per il biglietto teatrale, ma non il ristorante. La terza è stata lo yield management. Il presupposto era lo stesso: nell’ultimo decennio le compagnie aeree e il settore alberghiero hanno iniziato a variare i prezzi a seconda del giorno e della stagionalità per riempire mezzi e strutture. Questo ha permesso agli utenti di pagare meno il servizio, di risparmiare. E alle aziende di aumentare i profitti saturando le strutture. Ci siamo allora detti che avremmo dovuto fare lo stesso per i ristoranti che come le strutture turistiche hanno elevati costi fissi e pochi costi variabili», raccontava Bertrand Jelensperger, co-fondatore e Ceo della società, a Il Sole 24 Ore tre anni fa. Notando già all’epoca un dato interessante: «in Italia il 65% delle prenotazioni viene già dal canale mobile. Abbiamo un ottimo tasso di ripetizione, che significa che gli utenti che usano il servizio una volta continuano poi a prenotare spesso».
Nessuno l’avrebbe detto, insomma, eppure nel nostro Paese TheFork sta avendo ottimi risultati, come conferma Almir Ambeskovic, Head of Western Europe e membro del Board della società:
«il ristoratore medio italiano non è particolarmente tecnologico, ma la maggioranza ha saputo cogliere un’opportunità adattandosi alle richieste degli utenti. L’Italia oggi – oltre a essere il mercato più grande d’Europa quando si parla di food – è il primo Paese europeo sia per numero di ristoranti prenotabili online che per numero di prenotazioni fatte online».
Ambeskovic, responsabile dei mercati di Francia, Italia, Paesi Bassi, paesi nordici, Svizzera e Belgio, è entrato in TheFork nel 2015 dopo l’acquisizione di restOpolis, la startup di ristoranti da lui fondata e acquisita dal Gruppo TripAdvisor nello stesso anno.
«Il sito per un ristorante non ha più una ragion d’essere: rappresenta forse più una difficoltà perché va seguito, aggiornato, promosso, e molti non hanno né il tempo, né le competenze. In tal senso la vera vetrina per avere traffico, visualizzazioni e un riscontro immediato del pubblico è diventata TheFork. Un ristoratore lungimirante legge le recensioni per capire cosa funziona e cosa va migliorato, aggiustando il tiro in base al riscontro dei clienti».
Le recensioni, croce e delizia: la democratizzazione delle opinioni scritte online fa imbestialire gli addetti ai lavori, ma rende la vita più semplice agli utenti, a conti fatti a ragion veduta. È noto ai più che il giornalismo food (e non solo quello) è disseminato di ‘marchette‘ a causa di food blogger che si spacciano per sedicenti esperte di cibo o di giornalisti che se ne fregano della deontologia professionale. Il risultato? La critica non è più attendibile perché in qualche modo foraggiata di nascosto, dunque meglio affidarsi ai giudizi delle persone qualunque, che almeno si spera siano veritieri e spassionati. E meglio anche, dal lato dei ristoratori, investirci delle energie:
«qualche mese fa siamo andati a Venezia e abbiamo prenotato all’ultimo momento in un ristorante vicino al Ponte di Rialto che aveva delle ottime valutazioni», continua Ambeskovic, «non mi aspettavo nulla di che perché lì intorno i locali sono tutti molto simili, e una volta arrivati mi ha molto stupito che a servirci fosse il titolare, a differenza degli altri tavoli. Tornato in ufficio l’ho raccontato al mio team e mi è stato risposto che accade di frequente nei posti turistici: è il titolare a seguire i clienti che hanno prenotato con TheFork, in quanto sa che possono recensire l’esperienza e il ristorante, nonché influenzare la scelta delle persone. Questa è l’evoluzione a cui stiamo assistendo: i ristoratori sono spinti a migliorare la qualità del cibo e il servizio grazie o a causa dei giudizi che ricevono quotidianamente».
Giudizi che comunque, a dispetto di quanto si crede, non arrivano da Millennials o da gente completamente inesperta:
«i Millennials vanno in una tipologia di ristoranti che spesso e volentieri non accettano prenotazioni, noi invece trattiamo una fascia un po’ più alta. L’età media degli utilizzatori è più alta, con una prevalenza di donne (53% contro il 47% degli uomini); molti ci scrivono per dire che con TheFork si sentono giovani, perché riescono facilmente a prenotare un ristorante dal telefono e non avrebbero mai immaginato di poterlo fare».
Tramite la sua affezionata rete di users, TheFork ha inoltre collaborato con Doxa per sviluppare uno studio sui trend della ristorazione previsti nel 2019, molti dei quali risultano validi anche in vista del 2020. Innanzitutto, i consumatori richiederanno sempre più trasparenza in termini di approvvigionamento, origini alimentari e metodi di coltivazione e trasformazione del cibo: le grandi catene di ristorazione implementeranno con più frequenza eco-iniziative, mentre le piccole imprese cercheranno soluzioni eco-compatibili per combattere lo spreco alimentare. Da tale tendenza emergono nuovi concept, come imprese con la propria produzione (from the farm to the table) o locali che creano menu con gli avanzi di generi alimentari (sulla falsariga di InStock, nei Paesi Bassi). I regimi alimentari basati sui soli vegetali continueranno a influenzare le politiche dei ristoranti, andando nella direzione di una strategia a zero rifiuti e di una sostenibilità sempre maggiore: con la crescita del veganismo, l’intera industria della ristorazione (incluso il servizio rapido) sarà portata a introdurre nei menu offerte free-from (lactose free, meat free, gluten free etc.), portando il beverage ad adattarsi con il vegan wine pairing. Sentiremo ancora parlare di superfood con la ricorrente introduzione di ingredienti funzionali nei piatti, ovvero ingredienti in grado di dimostrare effetti positivi su una o più funzioni dell’organismo: i nuovi formati che cavalcano questo orientamento sono i ristoranti olistici, i caffè specifici per dieta (come il primo Weight Watchers Cafe ), i locali healthy che però hanno perso il vago sentore punitivo del passato. In generale si mangerà con più consapevolezza, adottando misure per conoscere approfonditamente i luoghi di produzione e le componenti del cibo, sia a casa che fuori.
Un fenomeno che (si spera) nel 2020 conoscerà una netta inversione è infine l’odiosissimo no show: prenotare un tavolo e poi non presentarsi, senza manco avere la premura di disdire. In Gran Bretagna la piattaforma ResDiary ha calcolato il danno subìto dai ristoranti in un anno, che equivale in media al 7/8% del servizio, pari a 16 miliardi di sterline. Secondo il Guardian, il boom dei siti e delle App di prenotazione online sul modello di TheFork o di Open Table ha annullato il rapporto cliente-ristoratore, rendendo così meno vincolante l’impegno di presentarsi rispetto alla classica telefonata. La soluzione proposta? Seguire l’esempio di Le Cochon Aveugle, roccaforte gourmet di York che al momento della prenotazione chiede a garanzia la carta di credito, e in caso di bidone senza alcun avvertimento vi addebita 50 sterline. Sebbene l’Italia abbia già smentito alcuni luoghi comuni legati alla digitalizzazione, il rapporto degli italiani con la propria carta di credito resta complicato: l’espediente migliore nel nostro Paese forse sarebbe la classica telefonata di un membro dello staff per confermare l’impegno preso, ché va bene tutto, ma comunicarne i dati a un pubblico esercizio suonerebbe come un abominio.
Marianna Tognini, Business Insider Italia