Infine dovrebbe essere lui, Gennaro Vecchione, il punto più alto nei vertici degli 007 italiani, a cadere? Il tempismo non aiuta Giuseppe Conte, che ha in mano la delega ai servizi segreti e continua a coprire il capo del Dis da mesi e ancora oggi, nonostante la tempesta perfetta che da pasticciata trama di intelligence sta scivolando verso l’ennesimo terreno di lotta politica. «Vecchione non si tocca e la delega resta a me» è la risposta che ancora ieri dava a chi gli riportava del pressing dei partiti della maggioranza per mollare il dirigente coinvolto in una coda del Russiagate. Un passo indietro sulla delega invece gliel’ha chiesta dalle colonne della Stampa Matteo Renzi. In una coalizione nata a freddo tra ex nemici, Conte non si può aspettare la difesa incondizionata dal leader di Italia Viva. E Renzi, da parte sua, ha messo in campo il suo miglior talento, che è quello di approfittare delle debolezze altrui. Soprattutto se l’effetto è di appannare l’aura internazionale che si è costruito il premier: «Potremo dare un giudizio quando il presidente del Consiglio spiegherà al Copasir quello che è stato fatto».
Il fianco di Conte si è improvvisamente scoperto su una vicenda dai contorni ancora oscuri. Il ministro della Giustizia americano, William Barr, ha incontrato per ben due volte, ad agosto e a fine settembre, i vertici dei Servizi segreti italiani. Nel primo caso solo Vecchione, direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio. Nel secondo incontro, il ministro di Donald Trump ha visto anche Luciano Carta e Mario Parente, direttori di Aisi e Aise, le agenzie per la sicurezza interna ed estera coordinate dal Dis. In quest’ultimo colloquio ad accompagnare Barr c’è anche il procuratore John Durham, l’uomo a cui è stata affidata la contro-inchiesta che mira a smontare il Russiagate e a trasformarlo in un complotto dei servizi occidentali con la complicità politica dei democratici Usa e del Pd italiano per evitare l’elezione di Trump alla Casa Bianca.
Questa l’estrema sintesi di una storiaccia di spionaggio che lascia tracce di veleno nei rapporti tra servizi e governo, e tra i partiti della maggioranza. Perché, nel frattempo, quel che sembra un fatto acclarato è che nessun organo parlamentare preposto, il Copasir innanzitutto, la commissione di controllo sui servizi, era stato messo a conoscenza della visita americana. Conte sapeva e aveva dato l’ok. Il motivo, lo spiegherà proprio al Copasir.
Certo, non sfugge al premier quello che sta accadendo. Cedere, come chiede Renzi, i servizi all’Autorità delegata o chiedere a Vecchione di lasciare suonerebbe come una sconfitta. Ed è quello che pensa vogliano sia Renzi sia Matteo Salvini. A Conte non fa gioco nemmeno che non si sia trovato l’accordo sul nome del presidente del Copasir e che per questo lui sia costretto a rinviare il chiarimento rimanendo esposto a sospetti e retroscena. A Chigi cominciano ad avere il dubbio che sia tutto calcolato. Da quanto trapela, l’umore di Conte non è dei migliori. Si è convinto che sia in atto una faida interna ai servizi per far fuori, di sponda con la politica, Vecchione, suo amico personale, da lui nominato al Dis. Non è vero, sostiene per esempio, che l’incontro con Barr sia avvenuto all’ambasciata Usa. «Ci sono fonti che vogliono screditare l’operato dei nostri servizi e alterare la realtà. È chiaro che si sta approfittando dell’occasione per ricamarci su, e ostacolare future riorganizzazioni dei servizi» . «Giochi interni – li definiscono – che ci sono sempre stati» e che Conte «non accetta più». Perché il compito del comparto di intelligence è di «lavorare con il massimo riserbo e nel rispetto dei vincoli di legge e non alimentando fughe di notizie». La furia di Conte è tale che promette, subito dopo aver parlato al Copasir, «un chiarimento interno» e una riorganizzazione.
Tanto più se pensa che le rivelazioni degli incontri a cui ha partecipato Vecchione siano state manovrate proprio per affossare il suo uomo, mai gradito ai vertici degli 007. In realtà la bufera silenziosamente si scatenò già ai tempi della sua nomina. E anche nel M5S c’è chi storse il naso, come il sottosegretario Angelo Tofalo. Vecchione è un generale di Divisione, di grado inferiore ai generali di Corpo d’armata ai quali può dare ordini, come Carta, direttore dell’Aise, e Carmine Masiello, suo vice al Dis. Una scelta irrituale da parte di Conte. Ma ci sono anche fonti di governo del M5S che, come i renziani e qualcuno nel Pd, fanno eco alle lamentele di funzionari e dirigenti su Vecchione, di cui chiedono la rimozione. C’è poi chi pensa che il premier stia aspettando il momento giusto per farlo, rinviando la decisione a quando le acque si saranno calmate per non dare l’impressione di un’ammissione di colpa dopo le polemiche sul vertice segreto con gli americani. Quel che è sicuro è che Conte non intende lasciare la delega, come chiede oggi Renzi, e come chiedevano durante la fase di formazione del governo anche nel M5S per trasferirla a Vito Crimi. Presto, giura il premier, saranno altri nomi ai vertici dell’intelligence a saltare. Uomini dei servizi che considera in quota Salvini o ancora di stretta osservanza renziana, come Masiello, ex consigliere militare di Renzi dato in partenza già a luglio.
Tutto questo avviene mentre, allineandosi alla posizione del M5S, Conte smentisce di voler confermare così com’è il programma degli F35 firmato anni fa con gli Usa. Il governo, fa sapere, punta a una «rinegoziazione» dell’accordo.
Ilario Lombardo, La Stampa