Fare di Imu e Tasi una sola tassa, così da evitare duplicazioni a carico sia delle amministrazioni che dei cittadini. La proposta aveva preso le mosse alla Camera, in commissione Finanze, su pressing della Lega. Da subito l’accoglienza dei parlamentari degli altri gruppi era stata calorosa. Ora il Governo giallorosso è pronto a imprimere una nuova spinta al progetto, per completare l’opera al più presto. E la proposta potrebbe approdare nella prossima manovra. Si tratta di mettere le mani su imposte che valgono poco meno di 20 miliardi di euro, per cui anche la più innocente delle semplificazioni va studiata nei dettagli.
Partendo dal fatto che l’Imu frutta 18,7 miliardi mentre la Tasi 1,1 miliardi, stando ai dati del Mef per il 2018. Ma il gettito potrebbe essere ancora più alto, visto che l’Italia sconta un tax gap annuo medio di 5,2 miliardi sull’Imposta municipale. Per combattere l’evasione era anche spuntata l’idea di fare pagare la tassa sugli immobili direttamente in dichiarazione dei redditi. A palesare l’orientamento dell’esecutivo è il viceministro dem all’Economia, Antonio Misiani. Alla sua prima uscita pubblica, davanti a una platea di artigiani e piccoli imprenditori riuniti alla Cna, ha definito il progetto di una nuova Imu «un intervento di assoluto buon senso», riconoscendo il lavoro fatto a Montecitorio. Un iter già «avanzato», ha spiegato Misiani secondo cui si può anche agire «subito» su questo fronte. L’idea di mettere la fusione delle due tasse sulla casa in legge di Bilancio era emersa proprio durante l’ultimo scorcio di vita del Governo gialloverde, quando si era addirittura parlato, in casa leghista, dell’eliminazione della Tasi. Per ora non ci si spinge a tanto, limitandosi a verbi come «semplificare», «razionalizzare» e «sfoltire».
D’altro canto la questione aveva costituito uno dei tanti terreni di scontro tra leghisti e penstastellati. I primi, appunto, propensi ai tagli mentre i secondi orientati esclusivamente a un riassetto. Tanto che l’operazione aveva preso denominazioni diverse: ‘nuova Imu‘ per il partito guidato da Matteo Salvini e ‘local tax’ per il M5s. Ma di certo per il nuovo esecutivo qualcosa bisogna fare. A dieci anni dalla legge delega che ha avviato il percorso del federalismo fiscale si sente la necessità di rimettere ordine al sistema della finanza locale. «Un conto è l’autonomia un’altro è il casino», dice senza mezzi termini Misiani, mettendo sotto accusa la moltiplicazione di aliquote, esenzioni, trattamenti di favore. In particolare la Tasi per Misiani «ha raggiunto livelli di complicazione paradossale». Basti solo pensare al sistema delle maggiorazioni.
Ecco che in cantiere ci sarebbe la revisione della manovrabilità delle aliquote a livello comunale. Al Mef però stanno pensando anche a un’altra mossa, ambiziosa: riformare la riscossone, visto che i Comuni sono dei «colabrodi». Fin qui la burocrazia, gli sconti sono un’altra partita. Anche se un’apertura dal vice ministro dell’Economia arriva: alle Pmi promette l’impegno per anticipare la deducibilità totale dell’Imu sui capannoni, che altrimenti scatterebbe solo nel 2023.
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