Il processo in Corte d’assise a Milano che vede imputato Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo è tuttora sospeso – dal febbraio 2018 – in attesa che la Consulta si pronunci. La norma sottoposta al suo esame è stata introdotta con il codice Rocco del 1930: l’articolo 580 del codice penale, intitolato ‘istigazione o aiuto al suicidio’, punisce tali condotte con una pena compresa tra i 5 e i 12 anni di reclusione. I dubbi sollevati dai giudici milanesi nell’ambito del processo a Cappato riguardano la parte in cui, secondo il “diritto vivente”, l’articolo 580 incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa a quelle di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio. Tale interpretazione violerebbe, secondo la Corte d’assise di Milano, alcuni punti della Costituzione (gli articoli 2, 13, primo comma, e 117, in relazione agli articoli 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), in forza dei quali il diritto a porre fine alla propria esistenza costituirebbe una libertà della persona, facendo ritenere quindi “non lesiva di tale bene” la “condotta di partecipazione al suicidio che però non pregiudichi la decisione di chi eserciti questa libertà”. E Fabiano Antoniani – Dj Fabo -, irreversibilmente cieco e tetraplegico dopo un tragico incidente stradale, aveva deciso di andare a morire in Svizzera, come poi è accaduto il 27 febbraio 2017, in una clinica nei pressi di Zurigo dove Cappato aveva acconsentito ad accompagnarlo.