Giuseppe Conte avrebbe voluto chiudere ieri il pacchetto di nomine di viceministri e sottosegretari. Le tamburellanti accuse di «spartizione delle poltrone» arrivate da Salvini e le voci di rissosa confusione che si sono alzate da Pd e M5S in queste ore lo hanno «innervosito», per usare un eufemismo. Restano tre nodi ancora da sciogliere: Economia, Sviluppo economico e Interno. E per fermare la giostra, dopo il nulla di fatto al Consiglio dei ministri, il premier ha chiesto di non tergiversare oltre. Un messaggio, quello di Conte, diretto soprattutto a Luigi Di Maio, perché il freno è stato tirato in casa Cinque stelle. È lo stesso capo del Movimento, infatti, a sbloccare l’impasse con un vertice serale, insieme ai suoi più stretti collaboratori, per mettere il timbro su una lista che già questa mattina potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri.
La battaglia che più preoccupa Conte è quella che si sta consumando all’interno del Movimento tra Di Maio e Davide Casaleggio. «Una guerra che va avanti da mesi», sostengono nel partito. E che in questi giorni si sarebbe nuovamente infiammata intorno al ruolo di Stefano Buffagni, considerato vicino a Casaleggio. Il figlio del fondatore avrebbe voluto vedere Buffagni sulla poltrona di viceministro al posto di Laura Castelli, mentre il leader M5S avrebbe preferito tenerlo fuori dai dicasteri economici, magari come viceministro alle Infrastrutture. Il boccino è caduto a metà strada, perché Castelli rimarrà viceministra e Buffagni sarà sottosegretario, a patto che non si occupi più di nomine. Speculari ci saranno, sponda Pd, Antonio Misiani come viceministro e Luigi Marattin nel ruolo di sottosegretario.
Si lavora anche per trovare una quadra allo Sviluppo economico. Lì il problema riguarda le proposte fatte dal Pd ai Cinque stelle: Nicola Zingaretti ha chiesto per Antonello Giacomelli la delega alle Telecomunicazioni e per Gian Paolo Manzella quella all’Energia. Il compromesso potrebbe arrivare lasciando l’Energia ai dem e tenendo nelle mani del ministro Stefano Patuanelli le Telecomunicazioni dove si giocano partite strategiche, a partire da quella sulla tecnologia 5G. All’Interno si sta ancora lavorando. Resta in pole, per affiancare il ministro Luciana Lamorgese, il deputato Pd Emanuele Fiano, seguito dal senatore Franco Mirabelli, mentre Di Maio sembra orientato a confermare Carlo Sibilia, anche se nelle ultime ore ha preso quota il nome dell’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Sarebbe uno schiaffo a Matteo Salvini, visti i dissapori tra i due, ma i vertici M5S non ne sono del tutto convinti. Ecco perché restano in corsa i nomi della deputata Federica Dieni e del senatore Maurizio Cattoi.
Nel Pd ci sono, nel peggiore dei casi, due candidati per ruolo. E i problemi maggiori sono per i pochi posti destinati alla minoranza interna: 6 o 7, di cui appena la metà a esponenti renziani. Il leader grillino, invece, per scaricare sul gruppo parlamentare la responsabilità delle scelte, ha chiesto alle commissioni parlamentari di indicare cinque preferenze per ministero. Ma il meccanismo si è inceppato e – fanno sapere dai vertici – sarà sempre lui che dovrà prendere una decisione finale, anche se non in linea con le indicazioni ricevute. Anche perché sono stati partoriti 200 candidati per 43 posti. Un’enormità. E infatti il 5S Gianluigi Paragone già scommette: «Gli esclusi trasformeranno il Parlamento in un Vietnam e Conte dovrà indossare la mimetica per chiedere i voti in Senato. Sarà un disastro».
Federico Capurso, La Stampa