Per la tassazione minima delle multinazionali si adotterà un approccio paese per paese e non un’aliquota fissa a livello internazionale. È quanto ha riferito Pascal Saint-Amans, direttore del centro per le politiche fiscali dell’Ocse, durante un’intervista a France24. Nell’ambito del secondo pilastro per la riforma della tassazione interazionale della società, che stabilisce l’introduzione di una tassazione minima per le multinazionali, si adotterà un approccio bilaterale tra i paesi e non un’aliquota minima universale. L’impostazione della tassazione minima sembra quindi diversa rispetto a quanto annunciato in precedenza, che prendeva come modello il sistema del Global Intangible Low-Taxed Income (Gilti) degli Stati Uniti, che applica un’aliquota media ai redditi di società americane tassati in paesi a fiscalità privilegiata. Come riferisce Saint-Amans, l’idea è che «se una società opera all’estero, ed è tassata in un paese con un’aliquota inferiore al paese di origine, quest’ultimo potrebbe recuperarne la differenza». Un esempio dell’approccio paese per paese: se una società francese guadagna la metà dei suoi profitti negli Stati Uniti, tassati al 25%, e l’altra metà nelle Isole Cayman, con tassazione zero, si ottiene una media del 12,5%, dalla quale è possibile recuperare le tasse non versate. La settimana scorsa i leader del G7 al vertice di Biarritz hanno nuovamente rilanciato l’impegno a raggiungere un accordo a livello Ocse entro l’anno prossimo, in particolare per quanto riguarda la tassazione dei giganti della tecnologia. «Presenteremo una proposta che sarà resa pubblica prima della prossima riunione del G20, prevista per il 17 ottobre a Washington. Avevamo bisogno di una spinta politica, e credo che il segnale del G7 rilancerà le discussioni», ha dichiarato il direttore dell’Ocse. La riforma del fisco internazionale si compone di due pilastri: il primo riguarda il modo in cui tassare le società del digitale che grazie ai nuovi modelli di business versano le impose dovute nel paese dove hanno la propria sede fiscale e non nei paesi in cui producono i profitti. Il secondo riguarda la creazione di un’imposta minima sugli utili.
Matteo Rizzi, ItaliaOggi