L’impianto dell’accusa contro il capitano della nave della ong tedesca è stato smontato, punto per punto, dal Gip di Agrigento. Salvini, furente, annuncia una «riforma della giustizia»
Carola Rackete è tornata in libertà. L’impianto accusatorio è stato smontato, punto per punto, dal Gip di Agrigento, che non ha convalidato l’arresto della capitana della Sea Watch che, forzando il divieto, ha condotto la nave nel porto di Lampedusa, per permettere ai 40 migranti a bordo di sbarcare.
Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, il suo vice Salvatore Vella e il pubblico ministero Gloria Andreoli avevano chiesto la convalida dell’arresto di Rackete, contestandole i reati di rifiuto di obbedienza a nave da guerra, resistenza o violenza contro nave da guerra e navigazione in zone vietate.
Invece il giudice per le indagini preliminari non ha voluto disporre alcuna misura cautelare (come il divieto di dimora chiesto dai pm) e ha escluso il reato di resistenza a nave da guerra perché la motovedetta della Gdf «stretta» tra la nave della Sea Watch e la banchina non può essere considerata tale. È stato escluso anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale perché la capitana, entrando in porto di notte, ha agito in adempimento di un dovere, quello di portare in salvo i migranti. Infine, il Decreto Sicurezza bis, secondo il Gip, «non è applicabile alle azioni di salvataggio in quanto riferibile solo alle condotte degli scafisti».
Deluso il procuratore Patronaggio, secondo cui dalla respinta della richiesta di convalida dell’arresto «si evince quanto sia difficile muoversi in una materia che sconta forti tensioni politiche, in cui qualsiasi decisione uno prenda ha sempre paura di sbagliare». Il procuratore attende di conoscere le motivazioni prima di valutare l’impugnazione: «Il nostro punto di vista era diverso. Per noi era necessitata l’azione di salvataggio e non era necessitata invece la forzatura del blocco, che riteniamo un atto un po’ sconsiderato nei confronti della vedetta della Guardia di Finanza. È evidente però che si rispettano le decisioni dei giudici».
L’ira di Salvini
Ma il più contrariato dalla decisione del Gip è sicuramente Matteo Salvini, secondo cui la liberazione di Carola Rackete è «una fiaba pessima, horror, surreale. Non ho parole. Cosa bisogna fare per finire in galera in Italia? Mi vergogno di chi permette che in questo paese arriva il primo delinquente dall’estero e disubbidisce alle leggi e mette a rischio la vita dei militari che fanno il loro lavoro. Se stasera una pattuglia intima l’alt su una strada italiana chiunque è tenuto a tirare diritto e speronare un’auto della polizia». E ancora: «Permettetemi lo sfogo, sono arrabbiato e indignato, lo faccio a nome dei militari italiani che ogni giorno rischiano la vita e meritano rispetto, non sentenze vergognose che liberano i delinquenti». Poi annuncia una «urgente» «riforma della giustizia, cambiare i criteri di assunzione, selezione e promozione di chi amministra la giustizia in Italia. Questa non è la giustizia che serve a un Paese che vuole crescere. È una sentenza politica. Si candidi signor giudice e cambierà le leggi, ma intanto le applichi senza interpretarle a vantaggio di chissà chi».
Intanto il Prefetto di Agrigento ha già firmato il provvedimento di allontanamento dall’Italia di Carola Rackete, che sarà accompagnata alla frontiera dalle forze dell’ordine solo dopo la convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Non succederà prima del 9 luglio, quando la capitana sarà ancora interrogata dai magistrati sull’altro filone dell’indagine, il favoreggiamento di immigrazione clandestina.
Monica Coviello, Vanity Fair