Da una parte Luigi Di Maio che esulta via Facebook: «Sapete cosa dicono i dati istat di questa mattina? Che la disoccupazione è in calo, parliamo del dato più basso dal 2012, mentre aumentano gli occupati, il dato massimo dal 1977. E questo significa che il Decreto dignità funziona: e di quel Decreto non si cambia nemmeno una virgola!». Dall’altra parte invece la Lega, che attribuisce alla legge sulla Quota 100 i risultati Istat («Disoccupazione al 9,9%, mai così bene dal 2012 e tasso d’occupazione a maggio al 59%», ricorda il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon) e che proprio su alcuni punti del dl Dignità sta cercando di intervenire per modificarne il contenuto.
In commissione Lavoro
Luigi Di Maio in passato aveva detto: «Il decreto Dignità non si tocca». In realtà sembra che si toccherà, anche se Durigon ha avvertito che problemi politici e tecnici non ce ne saranno. La settimana prossima, alla commissione Lavoro della Camera dei deputati, approda infatti la proposta di legge della Lega, prima firmataria Elena Murelli, una specie di dl Dignità bis che prova ad ammorbidire la stretta sui contratti precari introdotta appunto dal dl Dignità originario dove si è resa obbligatoria la causale nei contratti di lavoro da parte delle imprese in caso di proroghe dopo i primi 12 mesi: i contratti collettivi potranno, stando al ddl leghista, individuare «causali aggiuntive» rispetto a quelle previste dal dl Dignità («Esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’attività, ovvero per esigenze sostitutive di altri lavoratori» ed «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria»). A oggi, nel caso in cui non venga precisato il motivo di stipula in un contratto a termine di durata superiore a dodici mesi, quest’ultimo si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi ovvero dalla data di inizio in caso di rinnovo, qualora il lavoratore abbia già avuto precedenti rapporti a tempo determinato con quel datore di lavoro. La sanzione si applica anche nel caso in cui il datore di lavoro non provveda a motivare la proroga che «sfori» il limite dei dodici mesi. La causale non si applica nei casi di contratto intermittente, co.co.co. (collaborazione coordinata e continuativa), lavoro autonomo occasionale, nuove prestazioni occasionali, partita Iva, contratto a tempo determinato per attività stagionali.
I malumori delle imprese
Di Maio, difendendo il dl Dignità, aveva dichiarato: «Chi rivuole ampliare la portata dei contratti a termine, sottopagando i lavoratori e altro, può rivolgersi a Renzi. Il Jobs Act è stata una delle peggiori legge mai fatta negli ultimi 20 anni». Ma molti sono stati nel tempo i malumori provenienti dal mondo dell’impresa, per via proprio delle rigidità della legge approvata nell’agosto 2018 (dopo un complicato iter e accuse di «manine» che modificavano i testi), a cominciare da quella sul rinnovo dei contratti a termine. Mentre il numero dei contratti a a tempo determinato trasformati in contratti a tempo indeterminato è cresciuto, in molti avevano notato il blocco del turnover generazionale in alcuni settori. Se la proposta di legge della Lega venisse approvata, sarà grazie ai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali che si potranno introdurre nuove causali per un utilizzo più ampio.
«Piccole zone d’ombra»
In un’intervista al Corriere, Durigon il 16 giugno aveva detto: «Non vogliamo smontare nulla, il nostro intervento non va contro il decreto Dignità che ha fatto un bellissimo lavoro portando a un incremento dei contratti a tempo indeterminato. Innanzitutto si tratta di un disegno di legge parlamentare e quindi in Parlamento ci sarà il modo di trovare una sintesi. E poi non si tratta di fare marcia indietro perché quel provvedimento ha funzionato benissimo. Semmai si può intervenire su alcune piccole zone d’ombra che, inevitabilmente, si sono manifestate dopo un anno. C’è stato un leggero aumento del turn over rispetto alle stabilizzazioni».
Coinvolgere le parti sociali
La Cgil aveva tuttavia contestato il decreto Dignità perché la legge avrebbe aperto la strada a forme di precarietà ancora meno tutelate, anche se il sindacato si è poi detto in disaccordo a modificarla senza coinvolgere le parti sociali. Anche Confindustria si è detta scettica sulla questione delle causali obbligatorie e Carlo Bonomi, il 29 giugno, in un’altra intervista al Corriere, ha esplicitamente detto: «Il decreto Dignità è stato un errore». Nel frattempo, tra le contrapposizioni politiche che hanno caratterizzatone gli ultimi mesi il rapporto all’interno del governo tra M5S e Lega, il Carroccio ha più volte prestato ascolto alle richieste degli imprenditori. La possibile modifica del dl Dignità sembrerebbe confermare questa direzione.
Franco Stefanoni, Corriere.it