La dicitura “fine pena mai” deve scomparire dai certificati dei detenuti. Secondo la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, infatti, le disposizioni che regolano l’ergastolo ostativo violano l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani (divieto di trattamenti degradanti e inumani) e il generale rispetto della dignità umana, alla base della Convenzione stessa.
Va vediamo nello specifico cosa è stato scritto nella sentenza della Corte, che si è occupata del caso di Marcello Viola, condannato all’ergastolo a fine anni ’90 per i reati di associazione mafiosa, omicidi e rapimenti, a cui sono state respinte le richieste di uscita dal carcere, nonostante l’accertata buona condotta e un cambio positivo della sua personalità. Secondo i giudici, che hanno condannato l’Italia al pagamento di seimila mila euro a Viola per i costi legali, “è inammissibile deprivare una persona delle sue libertà, senza tendere alla sua riabilitazione e offrirgli la possibilità di riottenere la libertà in futuro”.
L’ergastolo ostativo, infatti, tra le altre cose prevede che il condannato non possa ottenere alcuno sconto di pena e permessi d’uscita, a meno che non collabori con la giustizia. Questa scelta, però, – fa notare la Corte di Strasburgo – non è “libera”, perché alcuni condannati hanno paura che l’eventuale collaborazione possa mettere “in pericolo la loro vita e quella dei loro familiari”; inoltre, collaborare non implica automaticamente che il condannato “non sia più fedele a valori criminali o abbia tagliato i legami con organizzazioni di tipo mafioso”.
È doveroso precisare che la decisione di Strasburgo non comporta la liberazione di Viola, di cui i giudici non negano la gravità dei reati commessi. Viola è stato condannato all’ergastolo e le restrizioni previste dal 41 bis per omicidi con le aggravanti legate alle attività di Cosa nostra.
Raffaello Binelli, Ilgiornale.it