Attivista e presidente del Movimento per la Decrescita Felice, è da anni appassionata al mondo dell’autoproduzione. Attraverso i suoi libri, un blog e una rubrica in tv spiega come creare da soli ciò che serve
Probabilmente il fatto di essere cresciuta a Malagrotta, accanto a un’enorme discarica, alla periferia di Roma, qualcosa dentro le ha smosso: oggi intorno al tema dei rifiuti, del non-spreco, del «non si butta via niente» ci ha costruito il suo lavoro, di più, la sua filosofia di vita.
Alla domanda: «Ma lei che lavoro fa?», risponde convinta: «L’attivista ecologista», anche se ci tiene a precisare che non distingue tanto il suo mestiere dalla sua persona: «Io sono un’ecologista, non faccio l’ecologista».
Lucia Cuffaro, 40 anni, ha studiato Sociologia e Naturopatia, affacciandosi all’Ayurveda, all’Etnobotanica, alla Chimica e alla Medicina e oggi scrive libri sull’autoproduzione, organizza workshop e ha una rubrica in Tv il sabato a UnoMattina in Famiglia, alle 10.15: «Dopo anni di lavoro trascorsi nel campo dell’organizzazione di eventi e poi in Rai, come assistente programma, ho lasciato tutto: ero alla continua ricerca di un lavoro che fosse più etico e di volta in volta, a ogni passaggio, aggiustavo il tiro. A un certo punto ho avuto dei problemi di salute e ho cominciato a pormi una serie di domande sul mio stile di vita, così tante e così pressanti che ho poi deciso di licenziarmi».
All’inizio ha passato molto tempo ne La Città dell’Utopia del Servizio Civile Internazionale, un luogo di sperimentazione sociale e culturale che affronta i principali temi legati a un nuovo modello di sviluppo sostenibile ed equo. Poi è entrata nel Movimento per la Decrescita Felice, che ha conosciuto frequentando i laboratori dell’Università del Saper Fare. La strada intrapresa era quella giusta per lei, tanto che oggi, di quel movimento, è diventata presidente nazionale.«Ho scoperto un mondo, e – soprattutto – frequentando quegli ambienti ho iniziato a incontrare le persone che, come me, sono alla continua ricerca di un come: come posso fare io a cambiare le cose che non vanno? Non guardiamo all’autoproduzione come un semplice “fai da te”: implica tante altre cose, a cominciare dall’attenta lettura delle etichette, per capire quante schifezze manipoliamo e ingeriamo ogni giorno».
Ma non diventa complicato vivere in decrescita in una metropoli caotica e poco organizzata come Roma?
«Io sì, vivo a Roma, ma sono nella periferia ovest e davanti a casa mia ci sono degli orti e non sto lontano dal mare. E poi, comunque, la vita cittadina mi piace: faccio teatro, faccio beach volley, esco a bere l’aperitivo con gli amici. Ma non mi ci vedrei a vivere in mezzo a una campagna isolata. Mi piace darmi da fare nel mio quartiere e vedere che si può rendere migliore la periferia apparentemente più difficile: faccio parte dell’associazione Massimina.it, che si impegna a trasformare il quartiere Massimina da quartiere-dormitorio a zona accogliente, dove trascorrere del buon tempo. Trovo incredibilmente interessante vedere la possibile trasformazione delle periferie».
Quanto le costa in termini di tempo un’organizzazione come la sua? Quanto deve mettere in conto nel fare, per esempio, il pane in casa così come i detersivi?
«Nel mio terzo libro, che si intitola Cambio pelle in 7 passi, dimostro tutto il mio amore per la sintesi: ho scritto centinaia di ricette, partendo da non più di 10 ingredienti. Quando torni alla base hai un solo sapone che va benissimo per il corpo e per il viso così come per i capelli. Dietro, certo, c’è uno studio legato all’utilizzo dei giusti ingredienti, con le loro reazioni chimiche e le loro caratteristiche. Io ho una vita pienissima e anche io, come molti, poco tempo eppure riesco bene a organizzarmi, semplificando il tutto. Io faccio sempre il pane in casa, ma ho un sistema veloce e comunque le farine le compro una volta ogni tre mesi, non è tutto questo impegno».
Che cosa si butta sempre, che invece è preziosissimo?
«Purtroppo il 60% degli scarti alimentari che le famiglie italiane buttano potrebbero essere riutilizzati. Penso alle bucce d’arancia, con cui io, per esempio, faccio degli ottimi scrub per il corpo e degli insaporitori per le torte. O penso all’olio di frittura con cui io, aggiungendo un po’ di soda caustica e un po’ d’acqua, creo dell’ottimo sapone per il bucato. Lo sappiamo che un litro d’olio di frittura può inquinare fino a un milione di metri cubi di acqua? Perché se ne siamo consapevoli, allora non lo possiamo buttare con tanta leggerezza».
Il consumismo è stata la chiave della nostra economia: il dubbio di molti è che poi crolli il sistema, chiudano le fabbriche, la gente rimanga a casa dal lavoro… Insomma, un disastro!
«Come prima cosa dobbiamo cambiare valori di riferimento: se come valore fondante mettiamo la tutela dell’ambiente, se lavoriamo in un’azienda inquinante, allora sentiremo l’urgenza di dover fare qualcosa. Continuo a chiedermi perché non si facciano delle leggi che agevolino chi è impegnato in attività – che so – legate al mondo dell’usato: perché chi apre un negozio dell’usato e dunque ricicla e rimette in circolo le cose anziché buttarle, non ha degli incentivi? Credo che si avrebbero nuovi lavori e comunque nuove opportunità se a livello politico e fiscale si avesse un pensiero più attento all’ecologia, con tutto ciò che ne consegue».
E invece sembra che i macrosistemi vadano dalla parte opposta: ci troviamo nei supermercati dei salmoni con i coloranti per farli sembrare più rosa e nei colorifici delle vernici tossiche. Come dire, le leggi non ostacolano questo sistema imperante…
«Ed è per questo che io mi sto dedicando così tanto al tema delle etichette: la maggior parte del cibo che mangiamo è truccato e ha perso gran parte del suo apporto nutrizionale. La frutta ha il 50% in meno di vitamine a sali minerali rispetto a cinquant’anni fa… E non capisco perché i piatti su cui mangiano molti bambini sono di melanina: se si superano i 70 gradi, facciamo mangiare loro della formaldeide cancerogena. Lo sappiamo che per sostanze come gli ftalati oggi un maschio su tre ha problemi di sterilità?».
Avrebbe in mente delle piccole aziende virtuose in tal senso?
«Io mi rifornisco da tanti piccoli produttori, organizzandomi attraverso i gas, i gruppi di acquisto solidale. Così, per esempio, ho conosciuto Officina Naturae, il Sapone del Bianconiglio e Remedia che fanno cosmetici e detersivi tutti ecobio. Credo nel buon funzionamento delle Food Coop, i supermercati autogestiti, dove si si fa la spesa e si dà il proprio tempo: i consumatori sono cioè anche soci della cooperativa, che non ha quindi tanti dipendenti quanti un normale supermarket, e questo consente di ridurre i costi e non gravare sul prezzo dei prodotti. Ecco questo è un perfetto esempio di decrescita felice».
Valeria Vantaggi, Vanity Fair