Cinquecentomila dipendenti pubblici in uscita nei prossimi tre anni tra pensioni di vecchiaia, “opzione donna”, pensioni anticipate e “quota 100”, ma il rinnovo dei contratti si presenta in salita. Nonostante lo sblocco del turn over di compensazione al 100% (secondo cui, le PA potranno reinvestire sui nuovi assunti ciò che risparmiano con i pensionamenti), per settori in sottorganico come sanità e scuola, ricorda un’indagine diffusa stamane in apertura del Forum della Pubblica Amministrazione, per i comuni e per gli enti che non rispettano il pareggio di bilancio, i tempi potrebbero essere più lunghi del previsto. E le risorse per i prossimi contratti non sono sufficienti, denunciano da tempo i sindacati.
“Il ministro parla di rinnovi contrattuali ma le poste di bilancio sono insufficienti per pervenire ad un rinnovo neppure vicino a quello dell’ultimo triennio – dice il segretario generale della Fp Cisl Maurizio Petriccioli – Chiediamo al ministro di aprire subito un confronto serio con le organizzazioni sindacali e di dare risposte alle lavoratrici, ai lavoratori che già operano negli enti, così come di sbloccare subito i percorsi concorsuali per far fronte alle centinaia di migliaia di uscite che ci saranno nel 2019 e nel 2020. Rischiamo di avere corsie degli ospedali vuote, meno agenti di polizia nelle strade e un aumento ulteriore ed insostenibile dei tempi di erogazione dei servizi previdenziali. Siamo a rischio collasso della tenuta dei servizi pubblici, un danno per il Paese tutto”.
“Lo stanziamento per il prossimo triennio a regime, pari a 1.775 milioni, sarebbe pari a un aumento mensile di 52 euro – calcola la Fp Cgil – comprensivi di indennità di vacanza contrattuale per l’elemento perequativo, pari a circa 40 euro medi mensili”. Eppure il rinnovo è sempre più una necessità, in un settore in cui l’età media del personale è di 50,6 anni, e sale oltre i 54 anni nei Ministeri, alla Presidenza del Consiglio, nelle Prefetture o negli Enti Pubblici non economici. Gli over 60 sono il 16,4% e gli under 30 solo il 2,8%. Attualmente il personale stabile della Pa che ha compiuto 62 anni è di oltre 500.000 persone (il 16,7% del totale) e circa 154 mila persone hanno maturato oltre 38 anni di anzianità.
La retribuzione media dei dipendenti pubblici (dati 2016) è di 34.500 euro, sostanzialmente invariata dal 2009, ma con oltre 3.000 euro in meno rispetto al solo recupero del potere d’acquisto, si legge nell’indagine diffusa al Forum Pa. Ci sono inoltre molte sperequazioni: si va dai 138.000 euro per la magistratura, ai 28.400 per il personale della scuola.
Nonostante poi si parli sempre di una Pubblica Amministrazione sovradimensionata rispetto agli altri Paesi, nella realtà le cose non stanno così: l’Italia ha il 70% dei dipendenti pubblici rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra, il 60% della Francia e il personale si è ridotto di quasi 200mila unità in 10 anni (-5,6%).
Il personale inoltre non sempre è ben distribuito su base regionale: il ministro Bongiorno ha infatti dichiarato l’intenzione di bandire i prossimi concorsi su base regionale, per “fermare le migrazioni interne”. “Stiamo avviando la sperimentazione – spiega in un incontro al Forum della Pubblica Amministrazione – e confido che i primi concorsi siano avviati a giugno per poi renderli obbligatori”.
Dall’indagine emergono anche carenze di altra natura nella Pubblica Amministrazione: ciascun dipendente ha usufruito mediamente solo di 1,04 giornate di formazione l’anno, mentre gli investimenti per l’aggiornamento si sono dimezzati in 10 anni (da 263 milioni di euro nel 2008 a 147 nel 2017). Neanche la stabilità del posto di lavoro è garantita per tutti, con 340mila lavoratori flessibili nel 2017, di cui sono stati stabilizzati solo lo 0,6% nell’ultimo anno.
I sindacati contestano infatti le risorse impiegate per garantire i controlli biometrici, mentre mancano le risorse per la formazione: “Il ministro non ha ancora spiegato come il controllo biometrico risolverà il problema della carenza di formazione, strumenti e personale che sono i veri fattori che incidono sulla produttività e l’efficienza della Pa e non, al contrario, il controllo punitivo sugli onesti lavoratori”, sostiene la Fp Cgil.
Contestate inoltre l’intenzione del ministro Bongiorno di prevedere nella legge di riforma della dirigenza pubblica un contributo da parte di società esterne per stabilire gli obiettivi e garantirne la realizzazione. “La proposta di far affiancare i dirigenti da consulenti esterni è davvero bizzarra. – osserva Petriccioli – Si lavora nella Pa entrandoci per concorso pubblico, con selezioni trasparenti e valutando titoli e competenze. Mi chiedo da chi e come saranno selezionati questi tecnici che svolgeranno per giunta una funzione dirigenziale. Saranno scelti dai vertici politici? Come Cisl Fp chiediamo che si blocchino subito i processi di esternalizzazione e che la governance degli enti sia autonoma e svincolata dal ricatto politico”.
La stessa titolare della Pa, Giulia Bongiorno, mette in discussione però i calcoli sul rischio di esodo. “Nel 2019 ci saranno 150 mila cessazioni con la legge Fornero e 100 mila con ‘Quota 100’, per un totale di 250 mila”, dice proprio al Forum Pa. E dalla manifestazione lancia un’idea per favorire la transizione scuola-lavoro: “Oggi c’è un grosso problema per i giovani che non riescono a trovare lavoro quando escono dall’università. Con il ministro Bussetti abbiamo deciso di creare un corso che permetta al ragazzo che studia all’università, alla fine del suo percorso, di poter fare un concorso direttamente nella pubblica amministrazione”. Secondo Bongiorno “non è possibile che si entri nella pubblica amministrazione solo a 35 anni, si deve entrare prima. Quando dico che nella legge di Bilancio ci sono risorse, dò già delle risposte. Stiamo parlando di un piano concreto e fare ricambio generazionale”.
Rosaria Amato, Repubblica