A quattro ore dalla morte dei 32 animali, i ricercatori sono riusciti a riattivare alcune attività cellulari, un risultato senza precedenti con grandi implicazioni etiche
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale (Stati Uniti) ha rianimato i cervelli di alcuni maiali, a circa quattro ore di distanza dalla loro macellazione. L’esperimento ha permesso di osservare la ripresa dell’attività dei neuroni, le cellule che costituiscono il cervello, ma si è fermato prima di un’eventuale riattivazione di qualche forma di coscienza. Gli esiti dello studio sono stati pubblicati questa settimana sulla rivista scientifica Nature e stanno facendo molto discutere, perché potrebbero portare a rivedere la definizione stessa di “morte” per come la intendiamo scientificamente.
Se escludiamo la letteratura di fantascienza e qualche isolato tentativo nei secoli passati, è dai primi del Novecento che i ricercatori cercano con esperimenti più sistematici di riportare in vita un cervello, o di mantenerlo vitale subito dopo l’interruzione dell’attività cardiaca. Diversi scienziati provarono a farlo raffreddando il cervello e facendo circolare al suo interno varie sostanze, per sostituire quelle portate naturalmente dalla circolazione sanguigna. Questi esperimenti portarono a qualche sporadico risultato, ma senza dare la possibilità di capire se davvero i cervelli utilizzati mantenessero una propria attività neuronale dopo la morte.
In tempi più recenti altri studi avevano dimostrato che campioni di cellule estratte dal cervello, e mantenute poi in vitro in laboratorio, erano in grado di riprendere alcune attività, come la produzione di nuove proteine. Partendo da queste e altre esperienze passate un neuroscienziato di Yale, Nenad Sestan, e i suoi colleghi si sono chiesti se fosse possibile rianimare un intero cervello, a ore di distanza dalla morte del suo proprietario.
Per scoprirlo i ricercatori hanno contattato un macello poco distante dai loro laboratori, ottenendo 32 teste di maiali, decapitati durante le normali attività di macellazione. Il cervello di ogni animale è stato rimosso dalla testa e inserito in un particolare contenitore, collegato a una pompa che inviava impulsi imitando l’attività cardiaca. Quattro ore dopo la morte dei maiali, i ricercatori hanno avviato il loro sistema, pompando nei cervelli una sostanza artificiale con nutrienti e farmaci per conservare i neuroni e indurre alcune attività cellulari.
La sostanza, che di fatto sostituisce il sangue, è stata chiamata BrainEx: oltre ai nutrienti consente di portare anche l’ossigeno verso le cellule. Il cervello, l’organo più complesso dell’intero Universo conosciuto, richiede una grande quantità di energia e ossigeno per poter funzionare, soprattutto negli organismi più complessi.
All’interno di BrainEx i ricercatori hanno aggiunto una particolare sostanza, una sorta di anestetico, per evitare che i neuroni si attivassero completamente portando a una eventuale (per quanto remota) possibilità di una ripresa di coscienza di qualche tipo. Ogni cervello è stato tenuto sotto controllo per diverse ore, notando una ripresa dell’attività elettrica dei neuroni, segno dell’avvenuta rianimazione. Durante tutti gli esperimenti, i ricercatori hanno mantenuto dosi di ulteriore anestetico pronte, da iniettare nei cervelli nel caso in cui fossero stati riscontrati indizi sulla ripresa di coscienza.
Sestan e colleghi spiegano su Nature di avere notato una riattivazione delle attività cellulari dei neuroni e di altre cellule che fanno parte del cervello, con un aumento nel consumo di zuccheri e una maggiore produzione di anidride carbonica, indizio della ripresa del metabolismo cerebrale. Altre analisi hanno inoltre permesso di rilevare una riattivazione del sistema immunitario nel cervello. I ricercatori hanno poi prelevato alcuni campioni dai cervelli, per condurre esperimenti in vitro sui neuroni. Applicando una corrente elettrica, hanno rilevato una normale attività neuronale nel trasmettere il segnale tra le varie cellule, il meccanismo alla base del trasferimento delle informazioni nel cervello.
I ricercatori hanno comunque precisato di non avere mai riscontrato una ripresa omogenea dell’attività elettrica negli interi cervelli, che avrebbe potuto suggerire la presenza di processi più elaborati riscontrabili negli animali in vita. Non si può escludere che con un maggior numero di ore a contatto con BrainEx e stimoli elettrici esterni i cervelli possano riattivarsi completamente, ma per motivi etici questa eventualità non è stata esplorata da Sestan e i suoi colleghi.
La ricerca ha portato a risultati interessanti, ma siamo ancora molto distanti da sistemi e protocolli per rendere nuovamente vitale un intero cervello, per stessa ammissione dei ricercatori. Le difficoltà da superare sono ancora molte, a partire dal fatto che l’attuale tecnica consente la somministrazione del BrainEx solo dopo l’asportazione del cervello dalla scatola cranica. La possibilità di poter riuscire un giorno ad applicare il sistema ai cervelli umani e di altri animali sta comunque facendo discutere molto, per le sue innumerevoli implicazioni etiche.
A oggi non ci sono leggi chiare od organismi di controllo per regolamentare esperimenti come quello di Yale, né protocolli da seguire per ridurre al minimo effetti collaterali e imprevisti. La possibilità di rendere nuovamente cosciente il cervello di un animale morto appare per molti inaccettabile, eppure in alcune circostanze e con determinate garanzie potrebbe rivelarsi una soluzione utile per studiare malattie su cui abbiamo ancora scarse conoscenze, come quella di Alzheimer. Il sistema potrebbe essere impiegato per testare e sperimentare farmaci di nuova generazione, studiati per limitare o arrestare i processi degenerativi nei neuroni.
Il problema è che le conoscenze stesse sul funzionamento del cervello sono ancora limitate. Il concetto di “coscienza” è sfumato: sappiamo di che cosa si tratta, riusciamo a descriverla, ma non abbiamo conoscenze a sufficienza per dire quali siano tutti i fattori che la determinano. La coscienza è frutto dell’insieme dell’attività cerebrale e degli stimoli che l’organismo raccoglie dall’esterno con i sensi, ma come muterebbe nel caso in cui questi ultimi non fossero disponibili, come nel caso di un cervello isolato e trattato con BrainEx? La domanda non ha ancora una risposta e le principali riserve sono legate alla possibilità che, un giorno, questa pratica possa portare a sofferenze che nemmeno riusciamo a comprendere fino in fondo per i cervelli interessati.
Ricerche come quelle di Sestan pongono inoltre altri problemi etici legati alla definizione stessa di vita e di morte. I medici definiscono morto un animale che non mostra più attività cerebrale, o le cui attività respiratorie e cardiache si sono interrotte. La definizione può variare molto a seconda dell’organismo e della sua complessità. Nel caso degli esseri umani, l’assenza di attività cerebrale è considerata un punto di non ritorno per la morte di un individuo, anche se il suo cuore continua a funzionare normalmente.
Il cervello consuma grandi quantità di energia e di ossigeno, per questo l’esperienza medica ci dice che dopo pochi minuti di assenza di ossigeno il cervello subisce danni irreparabili. L’esperimento con i maiali sembra indicare la possibilità di recuperare le funzioni cerebrali anche a ore di distanza dalla morte, e che le cellule del cervello si deteriorino in tempi più lunghi di quanto fosse stato teorizzato.
Siamo ancora molto lontani da uno scenario alla Futurama, il cartone animato dove le teste di personaggi storici e famosi sono conservate dentro cilindri con una soluzione che le tiene in vita, ma la possibilità che il cervello possa essere preservato più a lungo potrebbe portare comunque a conseguenze impreviste. In diversi paesi, per esempio, una persona che ha subìto un incidente e non può essere rianimata viene mantenuta artificialmente in vita per poterne poi espiantare gli organi, da destinare a persone in attesa di un trapianto. Se un giorno fosse possibile fare altrettanto con il cervello, cosa accadrebbe a chi attende un trapianto? Ci sarebbero numerose conseguenze etiche e un conflitto tra gli interessi del potenziale donatore e del potenziale ricevente.
Come è avvenuto in altri campi della scienza che si portano dietro numerose questioni etiche, la nuova ricerca mostra quanto sia necessario stabilire regole comuni e condivise per condurre esperimenti di questo tipo. La comunità scientifica tende a darsi proprie regole, ma i suoi membri sono spesso tra i primi a chiedere ai governi di esprimersi con leggi chiare che non ostacolino la ricerca, pur offrendo garanzie su temi così delicati e che vanno oltre i singoli esperimenti.
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