Luigi Di Maio stavolta è scuro in volto. Le parole del ministro Giovanni Tria sull’aumento dell’Iva hanno alzato di nuovo il livello di tensione all’interno dell’esecutivo e, soprattutto, sono giunte — secondo il Movimento — inaspettate, dopo diverse prese di posizione pubbliche sull’argomento da parte di entrambi i vicepremier. Ecco perché il capo politico dei Cinque Stelle fatica a trattenersi quando si trova — nel pomeriggio — faccia a faccia con i suoi fedelissimi. E si sfoga: «Questa fuga in avanti non esiste. Noi siamo un governo, una squadra e il Movimento è il principale azionista di questa squadra. Abbiamo detto che l’Iva non aumenterà. Se Tria punta ad aumentarla si può dimettere». Quello del leader Cinque Stelle è un aut aut in piena regola. «Su questo non transigo e deve essere chiaro», ripete più volte. Salvo poi lasciar intravedere spiragli di pace: «Sono sicuro che, capite le priorità, supereremo le incomprensioni». «La prossima manovra sicuramente vedrà la sterilizzazione dell’Iva», assicura nel frattempo a SkyTg24 la vice di Tria, Laura Castelli, parlando di «spazi» per agire, «per esempio la riorganizzazione delle tax expenditures e la riforma fiscale dell’Irpef».
Il capo politico ha fatto il punto sul suo viaggio negli Emirati Arabi, viaggio in cui ha annunciato l’interesse degli investitori locali per la«dismissione del nostro patrimonio pubblico: una serie di edifici e immobili che sia dal lato Cdp, sia dal lato del governo stiamo mettendo sul mercato». Di Maio conta di raccogliere i fondi messi nel Def (950 milioni) grazie anche ai prossimi viaggi all’estero. Proprio per intavolare un progetto che coinvolga anche gli enti locali, Castelli ha convocato le città capoluogo. L’idea è quella di selezionare stabili da destinare alla vendita o a maggiore redditività. Patrimonio su cui dovrebbe sovraintendere una società di gestione del risparmio: una sinergia per aiutare le città e contribuire a recuperare risorse per l’erario. E c’è già anche chi ipotizza alcuni luoghi che potrebbero finire nelle trattative come la Manifattura Tabacchi di Torino o lo stabile occupato da CasaPound a Roma.
Ma non è solo l’economia a preoccupare Di Maio e il M5S. Il leader — oltre a tutto ciò che concerne gli sbarchi e le tensioni con il Viminale — ha altri fronti aperti a cui intende guardare. Il primo, portato alla ribalta sia dal Consiglio dei ministri che si terrà oggi a Reggio Calabria sia dall’inchiesta umbra che ha coinvolto la giunta dem, è quello della Sanità. E in questo caso rispuntano le tensioni con la Lega, anche se il leader pentastellato non la cita direttamente: «Vogliamo centralizzare le nomine della Sanità attraverso concorsi nazionali, ma c’è chi frena». E così decide di annunciare in serata: «Abbiamo incardinato in commissione sanità al Senato un disegno di legge che punta a togliere definitivamente dalle mani dei partiti il sistema sanitario, modificando i criteri di nomina dei direttori generali». Di Maio, inoltre, è pronto a pungolare la Lega su un altro fronte che ha sempre a che fare con i migranti (anche se non con i porti). «Dovremmo iniziare a pensare, più che ai porti, ai 600 mila irregolari che sono già in Italia».
Emanuele Buzzi, Corriere.it