Nei giorni scorsi l’oro ha arretrato e oggi tratta a 1.297,51 dollari l’oncia, ma il sentiment verso il metallo giallo resta positivo e secondo Ubs la correzione sotto quota 1.300 dollari può offrire l’occasione per prendere posizione. D’altronde l’oro è sempre più percepito come un rifugio in caso di un ulteriore indebolimento dello scenario macro. Senza dimenticare l’importanza della Fed, che se si confrmerà colomba potrà dare nuovo impulso al metallo giallo.
“Crediamo che l’oro mostri una certa resilienza e e attragga sempre più interesse come fonte di diversificazione e copertura, anche non vediamo per ora un vero e propro rally in arrivo. Aspettiamo di avere segnali più chiari sul fatto che la Fed confermi un approccio più accomodante e sul fatto che il dollaro sia destinato a indebolirsi”, si legge nel report di Ubs. Quindi aggiungono gli esperti: “I partecipanti al mercato possono essere pazienti e aumentare lentamente la loro posizione in oro, non c’è motivo di affrettarsi. D’altronde molti guardano con favore al fatto che l’oro possa rappresentare una copertura dal rallentamento economico, ma pochi si sono ancora posizionati in questo senso”.
Ubs ricorda che i dati macro che saranno pubblicati d’ora in poi saranno importanti per la direzione che prenderà l’oro d’ora in poi. Se continuano a emergere dati deboli questi saranno da supporto all’oro e il fatto che ancora in pochi abbiano preso posizioni fa sì che ci potrà essere a un certo punto una corsa ad aumentare il peso dell’oro se i dati peggioranno ancora.
Dal canto suo Joachim Corbach, responsabile valute e materie prime di Gam dice: “Le banche centrali di tutto il mondo sono state grandi acquirenti netti di oro durante l’anno solare 2018, incrementando le loro riserve di circa 650 tonnellate (con un aumento del 74% rispetto al 2017), cosa che le ha rese responsabili del 15% circa della domanda complessiva. Sono cifre al secondo posto nella classifica degli acquisti effettuati in un solo anno solare, superate solamente nel 1967 quando il dollaro Usa era ancorato al lingotto. Oggi si stima che le banche centrali possiedano, complessivamente, circa 34.000 tonnellate di riserve di oro. Questo dato sembra destinato a salire ancora alla luce delle forti tensioni geopolitiche (l’oro spesso viene considerato l’ultimo “porto sicuro”) e del rafforzamento delle valute dei mercati emergenti, che richiedono meno supporto da parte delle banche centrali”.
Corbach aggiunge: “Naturalmente, se consideriamo che le banche centrali sono state acquirenti particolarmente attive di oro nel corso del 2018, ci si domanda per quale motivo il prezzo dell’oro sia di fatto sceso leggermente durante l’anno solare. La risposta a questa domanda non solo chiarisce questa apparente anomalia, ma illustra anche le prospettive future. La politica monetaria attuata dalle principali banche centrali al mondo in genere è persino più importante per la performance dell’oro che la gestione delle riserve auree”. Corbach ricorda che c’è un rapporto speciale tra l’oro e il dollaro Usa. “Pertanto, la posizione della Federal Reserve risulta particolarmente pertinente, dato che il prezzo dell’oro (e di altre materie prime) viene espresso in dollari. Quando il valore del dollaro aumenta rispetto ad altre valute globali, l’oro diventa più costoso (non in dollari) e questo naturalmente limita la domanda. Analogamente è importante tenere presente che l’oro è come una “moneta” a rendimento zero. Questo significa che c’è un costo di opportunità correlato al possesso di lingotti in uno scenario caratterizzato da tassi al rialzo. Nel 2018 la Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse quattro volte e operato un’ulteriore stretta monetaria riducendo tra l’altro le dimensioni della sua situazione patrimoniale. Queste decisioni sono state considerate come il tentativo di anticipare un previsto aumento dell’inflazione, ovvero la previsione che i tassi di interesse reali sarebbero inevitabilmente saliti nel breve termine”, dice Corbach.
Nei mesi scorsi l’oro è salito proprio come conseguenza “delle aspettative riviste sui tassi di interesse reali e sull’andamento del dollaro”, dice Corbach che aggiunge: “In tale contesto crediamo che valga la pena di ricordare che l’oro (come le materie prime in generale) è un bene reale che può offrire una fonte di diversificazione eccellente e una protezione contro le perdite per i portafogli di investimento tradizionali”.
Roberta Castellarin, Milano Finanza