Per Sogin record di attività di smantellamento delle vecchie centrali. Ma manca il traguardo. Desiata: “La politica si muova”. Il ministro Costa: “Prima carta dei siti entro un anno”
Procede a passo lentissimo l’addio al nucleare italiano, mentre il governo si “dimentica” del deposito nazionale delle scorie. Sogin, la società controllata dal Tesoro che sta smantellando le vecchie centrali ha presentato l’avanzamento dei lavori 2018. Risultati solidi – 80,4 milioni di attività e un utile lordo intorno ai 5 milioni – ma quel che manca è il traguardo: il deposito nazionale delle scorie radioattive.
La carta delle zone potenzialmente idonee (Cnapi) è pronta da due anni e resta chiusa nei cassetti dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente. “Cogliamo l’occasione per invitare la politica a procedere. Nel momento in cui dovesse arrivare il nulla osta partiremmo subito, servono due anni dalla pubblicazione della Cnapi per individuare il territorio – ha ribadito l’ad Sogin Luca Desiata – siamo al limite per rispettare la data del 2025”.
Gli ha risposto a distanza il ministro dell’Ambiente Sergio Costa: “Entro il 2025 ce la facciamo. In un anno dovremmo depositare almeno la carta che riguarda il rischio sismico”.
Se invece il governo non ce la facesse ci sarebbe un impatto sulle tasche degli italiani che pagano attraverso la bolletta elettrica l’intero processo. Il combustibile delle vecchie centrali è stato mandato in Francia e in Inghilterra per essere lavorato (costo totale 1,7 miliardi), ma tra 6 anni, senza un luogo per adatto per ospitarlo, l’Italia sarà costretta a pagare il suo mantenimento oltreconfine.
Spina di ogni maggioranza, il toto-deposito che si aprirebbe con la pubblicazione della carta cozza con l’imminenza delle scadenze elettorali. In primavera poi la stessa Sogin entrerà nel ciclone dello spoils system, l’ad Desiata e il presidente Marco Ricotti sono in scadenza con tutto il cda e la maggioranza gialloverde sta pensando a una nuova nomina. In vista di una riconferma Desiata può rivendicare di aver ridisegnato la Sogin secondo le reali potenzialità. Quando arrivò nel 2016 aveva messo a budget 83 milioni di attività per il 2017 ne realizzò 63. Il risultato del 2018, 80,7 milioni, arriva anche dopo un consistente ridimensionamento del personale (- 10%) e dei costi di funzionamento (-11%). Il vertice in carica ha anche allungato al 2036 l’intero piano di decommissioning che costerà, al momento 7,2 miliardi (di cui 3,8 già spesi).
Due esempi chiariscono le difficoltà della società a raggiungere l’obiettivo dello smantellamento: il primo è l’incertezza sul budget del 2019 “Sono 100 milioni d’attività, ma 30 -40 non hanno ancora le autorizzazioni necessarie- spiega Desiata – Abbiamo 34 autorizzazioni ferme, di cui 14 da più di tre anni”. I tempi delle autorizzazioni si allungano per il cambio dell’ente di controllo: non più l’Ispra (protezione ambientale), ma la nuova Isin (sicurezza nucleare), non pienamente operativa. L’altro caso emblematico è l’attacco al vessel della centrale del Garigliano. Desiata l’aveva posto come pietra miliare da raggiungere entro il 2019: “Abbiamo chiesto il via libera, ma credo che prima l’Isin vorrà avere delle certezze sulla gestione”. Ovvero la conferma o il cambio dei vertici, altri sei mesi di attesa.
Sempre più gli interessi a tenere tutto il decommissioning nucleare in un infinito limbo sembrano prevalere sulla volontà di arrivare a fine ciclo: la politica può non fare scelte impopolari sul deposito, la Sogin può continuare a essere un costante serbatoio di appalti e assunzioni, i comuni interessati (Latina, Caorso, Trino Vercellese, Garigliano) continuano a ricevere milioni in compensazioni dallo Stato. Pagano gli utenti elettrici che ogni anno sborsano poco meno di 200 milioni per il nucleare (di cui 100 finiscono direttamente al Fisco).
Repubblica.it