Investire in una start-up non è più solo una cosa da ricchi. Con 250 euro si possono acquistare quote di società che puntano forte sull’innovazione e con grossi margini di crescita. La speranza del piccolo investitore è però la stessa di chi gioca in borsa: quella di guadagnare rivendendo le quote al momento giusto o aspettando un pesce più grosso che acquisisca la società.
I numeri del settore. È il fenomeno dell’equity crowdfunding che nel 2018 ha registrato un boom con 36 milioni di euro raccolti sulle nove piattaforme più attive in Italia. Quasi diecimila persone hanno investito il proprio denaro in 114 campagne. Per dare un’idea della crescita, nel 2017 la raccolta si fermò a 11,8 milioni in 50 campagne avviate con il sostegno di 3.200 investitori. Il traino di questo settore è la piattaforma Mamacrowd, dove l’anno scorso sono state portate avanti quasi il 30% di tutte le campagne in Italia, per una raccolta che ha raggiunto i 10 milioni. Subito dopo vengono Crowdfundme (8 milioni di raccolta) e Walliance (quasi 7), ma ce ne sono molte altre, tutte autorizzate e regolate dall’autorità di settore Consob. Le ha censite il magazine di settore Crowdfundingbuzz.
L’anno scorso le società che si sono messe in gioco hanno raccolto in media 370.000 euro ciascuna. Più di quanto si erano prefissate, con un obiettivo minimo medio di 145.000 euro. L’investimento medio per utente è stato di 3.900 euro, un dato sufficiente per capire che, in ogni caso, non si tratta di un fenomeno ancora alla portata di tutti. Ma l’equity sta allargando sempre di più la propria platea: nel 2014 l’investimento medio per persona sfiorava i 10.000 euro; nel 2016 i 6.000 euro.
Una piccola borsa. Con l’equity crowdfunding le start-up riescono a ottenere i capitali di cui hanno bisogno per continuare a crescere. Di fatto è un vero e proprio aumento di capitale, solo che gli investitori sono soprattutto semplici cittadini, non “animali da borsa”. Come nel normale crowdfunding, chi cerca di raccogliere denaro stabilisce un obiettivo minimo (se non lo si raggiunge, chi ha versato ottiene i soldi indietro) ma anche un obiettivo massimo.
Si può monetizzare in diversi modi:
- rivendendo le quote a terzi, che però bisogna trovare da soli e a un prezzo da concordare dal momento che si tratta di un capitale illiquido;
- aspettare che la società si quoti in borsa;
- aspettare che venga acquisita da una società più grande che liquiderà tutte le quote a un prezzo – quasi sempre – più alto di quello originario;
- confidare in una redistribuzione degli utili tra tutti i soci.
In ogni caso, visto che parliamo di società in crescita, l’investimento è quasi sempre di lungo periodo.
Chi investe. Se fino a 3 anni fa l’equity era un affare per imprenditori e professionisti, nell’ultimo anno la tendenza ha cominciato a cambiare. “Oggi la maggior parte degli investitori sono persone che possiamo considerare non esperte del settore. Inoltre, rispetto al 2016 sono aumentati quelli sotto i 30 anni e gli over 50, meno propensi al rischio e disponibili a mettere sul piatto cifre inferiori” spiega Dario Giudici, ceo di Mamacrowd.
Per 30 investitori su 100 investitori della piattaforma Crowdfundme è la prima volta. “Lo sappiamo con una certa precisione, visto che ognuno di loro deve compilare il questionario di appropriatezza” spiega Carlo Valentini, responsabile del marketing di Crowdfundme.
I rischi. L’anno scorso, spiega ancora Giudici, la quota minima che si poteva investire su Mamacrowd era di 500 euro, ma già quest’anno è stata lanciata una campagna che prevede un esborso minimo da 240, e “l’obiettivo è quello di abbassare ancora questa soglia”. Su Crowdfundme il minimo è di 250 euro.
Ma è pur sempre un investimento e la possibilità di perdere il denaro non può essere esclusa. “Mettere soldi in questo tipo di aziende può fruttare molto, non sono mancati esempi di società che al secondo giro di crowdfunding avevano elevato il valore delle proprie quote di dieci volte, ma è innegabile che è rischioso e il nostro compito è anche quello di informare l’investitore in ogni momento – precisa Valentini – perché sia pienamente cosciente che quei soldi potrebbe anche perderli, se la start-up non ottenesse il successo sperato”.
Tuttavia esiste una rete di sicurezza. Su Mamacrowd, ad esempio, sbarcano solo realtà ritenute già pronte per affrontare il mercato. “Collaboriamo con 51 partner, tra acceleratori e incubatori di impresa, che già fanno una forte selezione dei progetti da sostenere – dice Giudici – e a partire da questi noi facciamo un’altra scrematura, scegliendo solo quelle che si trovano in uno stadio semi-avanzato e che hanno già superato con successo tutte le fasi iniziali”. Un meccanismo simile è anche alla base di Crowdfundme: Valentini sottolinea che nessuna start-up finanziata sulla piattaforma è mai fallita dal 2016 a oggi.
Il consiglio di tutti gli operatori di questo settore è quello di diversificare. Maggiore è il numero di società delle quali si diventa soci, minore è il rischio di veder svanire il proprio investimento iniziale.
Federico Formica, Repubblica.it