Dopo averla cacciata dal suolo nazionale, gli Stati Uniti provano a bandire Huawei anche dal resto del mondo. O almeno il “loro” mondo, quello occidentale. Così mentre Washington prova a convincere gli alleati Nato che i dispositivi cinesi sono una minaccia alla sicurezza nazionale, e Pechino difende l’azienda da quello che definisce un sabotaggio politico, la linea del fronte si è spostata in Europa. Nel Vecchio Continente i clienti dell’azienda cinese sono molti, ma sembra che ragioni e pressioni americane stiano rapidamente facendo breccia.
L’allarme americano
“Qualsiasi vantaggio derivante dall’uso di apparecchiature cinesi più economiche di altre è superato dalla minaccia alla sicurezza dell’alleanza Nato”. È il senso delle pressioni che l’amministrazione Trump sta facendo già da qualche tempo sugli alleati per non rifornirsi dal colosso cinese Huawei. La tecnologia 5G a cui stanno lavorando, infatti, secondo l’amministrazione Trump potrebbe essere utilizzata per rubare segreti di Stato, brevetti industriali, e perfino spegnere infrastrutture strategiche e militari.
Certo, finora non ci sono prove che quelle apparecchiature siano state usate da Pechino in tal senso. Ma come sottolinea il politologo Graham Allison nel saggio-bestseller Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, l’approccio americano – che ormai nei confronti di Pechino parla apertamente di guerra fredda – va letto in un contesto più ampio, quello di un “potere dominante che si sente messo in pericolo da un potere emergente”.
La nuova corsa agli armamenti passa attraverso la tecnologia piuttosto che attraverso le armi convenzionali. Ma davvero il 5G è così pericoloso come l’amministrazione sostiene? Se lo chiede il New York Times in una inchiesta a sei mani. Di sicuro il 5G è velocissimo: capace di scaricare dati in tempo reale anche attraverso la rete dei cellulari e infatti è pensato per un mondo dominato dalla robotica. Ma ciò che fa bene allo sviluppo, allo stesso tempo può diventare terreno di cyber attacchi, tanto più che il nuovo sistema funziona anche grazie ad aggiornamenti costanti.
“E chi lo controlla”, scrive il NYT, “potrebbe essere in grado di cambiare, reindirizzare, copiare i dati degli utenti senza che nessuno se ne accorga”. Nel braccio di ferro con la Cina, il potenziale del 5G è dunque enorme: e alla Casa Bianca sono sempre più convinti che in questa corsa al cyber power ci può essere un solo vincitore: il perdente deve essere bandito.
L’Europa si schiera
Una richiesta che in Europa trova orecchie sempre più attente. Nel fine settimana il commissario Ue al Digitale Ansip ha messo in guardia i governi dai rischi di una collaborazione con Huawei, visto che la legge cinese obbliga individui e aziende a supportare le richieste dell’intelligence.
L’ambasciatore cinese a Bruxelles ha risposto che un eventuale bando danneggerebbe non poco lo sviluppo delle reti 5G. Rispetto ai concorrenti (attenzione: europei) Nokia e Ericsson, Huawei offre tecnologie più avanzate e prezzi più bassi.
Diversi Paesi europei però sembrano aver scelto la sicurezza (americana) rispetto a efficacia e risparmio (cinesi). Il Regno Unito ha annunciato che Huawei sarà esclusa dal “nucleo” delle sue reti, così come la Polonia, altro alleato Usa, che ha messo sotto indagine un dirigente locale della società con l’accusa di spionaggio.
Il governo tedesco, crocevia strategico dei cavi europei, starebbe studiando a sua volta un bando, mentre i francesi di Orange hanno annunciato che non useranno componenti cinesi e gli inglesi di Vodafone sospeso in via cautelativa gli acquisti.
L’Italia aspetta
La scelta di Vodafone coinvolge anche il nostro Paese, dove la multinazionale è presente nello sviluppo del 5G. Il nostro governo però, nonostante il campanello d’allarme suonato dal Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, è uno dei pochi in Europa a non essersi ancora espresso.
Una cautela forse dettata dal momento delicato nei rapporti con Pechino, di cui i gialloverdi puntano a diventare “primi partner in Europa” (Di Maio). Negli ultimi giorni si parla di un possibile viaggio di Stato del presidente cinese Xi Jinping in Italia a marzo, durante il quale potrebbe essere firmato il memorandum di intesa sulla Via della seta. Un bando a Huawei, che nel nostro Paese dovrebbe anche creare un nuovo centro di ricerca, rischierebbe di rovinare o far saltare la visita. In questa partita, l’Italia non ha ancora deciso da che parte schierarsi.
Anna Lombardi e Filippo Santelli, La Repubblica