Nella sede del Front diventato «Rassemblement national», Marine Le Pen rivolge gli auguri di nuovo anno ai giornalisti, «anche a quelli che credevano fossimo destinati a scomparire. Invece siamo qui, più forti che mai». Dall’estate 2017 a quella 2018 la candidata sconfitta alle presidenziali ha attraversato un periodo difficile: l’infelice prestazione nel duello tv decisivo contro Macron le veniva rinfacciata di continuo, l’europeismo di En Marche sembrava avere sconfitto una volta per tutte la tentazione nazionalista dei Le Pen, e il populismo di opposizione sembrava incarnato più dall’energico gauchista Jean-Luc Mélenchon che da lei.
Le cose sono cambiate in fretta. In Francia la rivolta dei gilet gialli — «i nostri elettori, la nostra gente», li definisce MLP —, ma soprattutto, prima ancora, in Italia il governo Lega-Cinque Stelle le hanno dato una forza e un respiro che sembravano perduti, e che a livello europeo non ha mai avuto prima. Il buffet con sandwich e pasticcini è benedetto dal grande manifesto appeso al muro con i tricolori francese e italiano, i sorrisi aperti di Le Pen e Salvini l’una accanto all’altro, e lo slogan: «Ovunque in Europa le nostre idee arrivano al potere».
«Dopo le presidenziali i cittadini erano stanchi della politica, c’è stata una fase di allontanamento generale, non eravamo noi a esserci indeboliti — dice Marine Le Pen mentre fuma l’eterna sigaretta elettronica —. Ora tutto è cambiato in Europa e lo vedremo alle elezioni di primavera».
Marine annuncia un grande comizio sovranista in Italia tra qualche settimana, a febbraio, con Matteo Salvini (forse a Milano), e un altro meeting per chiudere la campagna, ancora con l’alleato di sempre, che le ha soffiato il tempo ed è arrivato al potere prima di lei.
Il vicepremier italiano è per Marine Le Pen la prova che non esiste un soffitto di vetro, che le forze anti-sistema possono farcela anche in un grande Paese fondatore. Salvini tuona contro Macron sui migranti e sulla politica industriale, e l’8 gennaio si è arrabbiato per le nuove esitazioni francesi sull’accordo che dà all’italiana Fincantieri il controllo dei cantieri navali dell’Atlantico (la francese STX).
«Non è così che funziona la libera concorrenza — disse allora Salvini —. Quando sono i francesi a comprare, a fare e a disfare, va tutto bene. Se l’Europa esiste ci sia parità di regole, altrimenti ne trarremo le conseguenze».
Salvini quindi difende con forza l’accordo Fincantieri-STX. E Marine Le Pen? «No. Non sono per niente favorevole». Se al comando ci fosse lei, «lo Stato francese rimarrebbe proprietario di STX. Non costa niente o molto poco, e permetterebbe allo Stato di condurre la sua strategia industriale e di mostrare la sua azione». L’esito dell’accordo (51% delle quote all’Italia, 49% alla Francia) del settembre 2017 ora dipende dalla risposta di Bruxelles ai dubbi sottoposti dall’antitrust francese e tedesco. Come andrà a finire? «Vedremo — dice Marine Le Pen —. Io mi auguro che STX resti francese al cento per cento».
Alla prova dei fatti, l’interesse nazionale di un Paese sembra non poter coincidere con quello di un altro, difficile arrivare ad accordi concreti dove ci guadagnano tutti, «win-win», come direbbe Donald Trump. Ma questa è una questione successiva, da affrontare magari una volta raggiunta quell’Europa «dei popoli» dove «ogni Stato recupera sovranità e controllo del territorio». Intanto, sul modo per arrivare a quell’obiettivo, l’intesa con Salvini è totale.
A cominciare dalla questione dell’euro e della permanenza nell’Unione europea. Leader di lotta e (nelle sue speranze) di governo, Marine Le Pen dice che «siamo un partito pragmatico, non ideologico. Eravamo per l’uscita dall’euro e dall’Unione europea quando l’unica alternativa era tra la totale sottomissione a Bruxelles e l’abbandono della Ue».
La minaccia di un ritorno al franco, pur con molte ambiguità, alle presidenziali del 2017 è costata a Marine Le Pen i voti di molti francesi spaventati da una mossa che sembrava pericolosa. E adesso? «Oggi le condizioni politiche sono totalmente cambiate. Le nostre idee avanzano ovunque in Europa, e in Italia sono al governo». E come ci ha rinunciato Salvini, che partecipò al congresso FN di Lione 2011 esibendo sul palco la maglietta «no euro», pure Marine Le Pen accantona il sogno di uscire dalla moneta unica e dall’Unione. «Ora possiamo cambiare l’Europa dall’interno, uscire e adottare una nuova moneta non sono più le priorità. I trattati sono interpretabili a piacere, basti guardare cosa ha fatto la Bce con il quantitative easing. Quando il presidente della Commissione non sarà più Juncker ma una personalità espressione delle idee mie e di Salvini, la vita dei cittadini migliorerà».
Stefano Montefiori, Corriere della Sera