Comincia domani in cda il grande duello per il destino di Tim, e sarà uno scontro tra titani.
La battaglia vedrà contrapposti i due grandi azionisti Vivendi ed Elliott. Il gruppo che fa capo a Vincent Bolloré, primo socio col 23,9%, ha richiesto la convocazione di un’ assemblea entro un mese per revocare e sostituire 5 consiglieri su 10 nominati a maggio con la lista presentata dal fondo attivista di Paul Singer, che ha l’ 8,8%.
In casa Vivendi sono però furenti, accusano la maggioranza del cda e il presidente Fulvio Conti di usare «tecniche dilatorie» e si preparano a nuove delusioni. I consiglieri di nomina Elliott sono decisi a fissare l’ assemblea a fine marzo, così da arrivare di fronte ai soci con il nuovo piano industriale e con il bilancio bello che approvato (il cda è convocato il 26 di febbraio) da votare insieme con la revoca e la nomina dei revisori.
L’assemblea di bilancio, tra l’ altro, è quella con maggior affluenza, cosa che avvantaggerebbe Elliott che per vincere deve convincere i fondi e la Cdp (4,93%), da cui per ora non trapelano indicazioni sul voto. Vincent Bolloré, però, sospetta la trappola. Teme che il bilancio approvato dall’ attuale maggioranza possa contemplare nuove svalutazioni e, calcando sui numeri, serva ad addossare ogni colpa all’ uomo che proprio Bolloré aveva mandato a guidare Tim, quell’ Amos Genish sfiduciato dal cda nel novembre scorso: poco dopo Luigi Gubitosi ha preso il suo posto.
Il rischio è che con un bilancio malandato il titolo già debole, inchiodato com’è a 50 centesimi, possa scendere ulteriormente, incoraggiando forse nuovi azionisti a entrare nella partita – magari con un’ Opa a prezzi di saldo, quanto basta per arrivare al 30% – e, insieme con Elliott, mettere fuori gioco definitivamente il raider francese che su Tim ha puntato la bellezza di 4 miliardi di euro.
Per questo, a quanto risulta, da Parigi stanno approntando le contromosse. Una di queste è un’ arma da sfoderare in assemblea: chiedere ai soci di votare senza preavviso un’ azione di responsabilità contro l’ operato degli attuali amministratori. L’ effetto sorpresa lascerebbe scoperta la maggioranza targata Elliott, visto che i fondi – presenti solo per rappresentanza – non potrebbero fare altro che astenersi dando a Vivendi ampi margini di successo. Tutto finirebbe in tribunale.
È un’ arma che però i consiglieri di maggioranza possono neutralizzare. Nel caso il consiglio domani dovesse fissare la data a fine marzo anziché a metà febbraio, Vivendi potrebbe fare ricorso al giudice per accorciare i tempi. A quel punto i consiglieri di maggioranza potrebbero dimettersi (cosa che nessuno esclude) e fare decadere il consiglio, come Vivendi fece un anno fa.
Questo azzererebbe tutto e farebbe scattare una nuova conta: l’ 11 aprile – la data fissata in origine per l’ assemblea annuale – verrebbe eletto un nuovo cda attraverso il meccanismo del voto di lista. E addio azione. Come si vede, è una vera e propria partita a scacchi. Gioco di cui Gubitosi è appassionato. Le sue mosse, però, restano coperte.
L’ ad lavora al piano industriale, coltivando – si dice – più di un dubbio sullo scorporo della rete. Nel frattempo, come riporta l’ agenzia Bloomberg, ha presentato un’ offerta «esplorativa» per le attività italiane di British Telecom, in vendita dopo lo scandalo scoppiato nell’ autunno 2016 e che portano in dote clientela business che, di questi tempi, male non fa.
La Stampa