Lungo il confine meridionale degli Stati Uniti è in corso «una crisi del cuore e dell’anima», che per essere risolta richiede la costruzione del muro. Non è vero: la crisi la sta creando ad arte il presidente, per forzare la realizzazione di una inutile promessa elettorale. Il problema della sicurezza esiste, ma va affrontato con mezzi diversi, e soprattutto non tenendo in ostaggio il governo federale con lo «shutdown».
Sono le due versioni contrapposte del tema migrazioni, che gli americani hanno sentito ieri sera in diretta televisiva. Prima per bocca del presidente Trump, e poi nella risposta congiunta dei leader democratici della Camera e del Senato, Pelosi e Schumer.
Il capo della Casa Bianca ha tenuto il suo primo discorso alla nazione dallo Studio Ovale, per difendere la promessa elettorale che lo aveva lanciato nelle elezioni del 2016, e spiegare perché sta bloccando il 25% delle attività dello stato. Trump ha cercato di usare un tono diverso ieri sera, mettendo l’emergenza umanitaria al primo posto. Ha denunciato il fatto che «ogni settimana 300 nostri cittadini vengono uccisi dall’eroina, che per il 90% arriva dal confine meridionale. Negli ultimi due anni gli agenti di frontiera hanno arrestato 266.000 illegali con precedenti penali. Il mese scorso 20.000 bambini sono stati portati illegalmente negli Usa».
Alcuni di questi numeri sono contestati, ma Trump li ha usati per evidenziare l’esistenza di una crisi, aggiungendo anche il racconto di alcuni reati efferati commessi dagli illegali. Quindi ha proposto di affrontarla con misure che includono l’uso di nuove tecnologie, l’assunzione di più agenti di frontiera, più giudici per gestire le richieste di asilo, più letti per accogliere gli illegali in attesa di giudizio, più assistenza umanitaria e medica. Solo a questo punto, il presidente ha ricordato anche la richiesta di 5,7 miliardi di dollari per finanziare la costruzione del muro, che secondo lui si pagherebbe da solo, tra la riduzione dei costi per 500 miliardi all’anno provocati dalle droghe illegali, e i proventi del nuovo accordo commerciale con il Messico.
Il capo della Casa Bianca non ha proclamato l’emergenza nazionale, che gli avrebbe consentito di usare i soldi del Pentagono per costruire il muro, ma la strategia adottata è chiara. Sottolineando prima di tutto la crisi umanitaria, ha cercato di proiettare un’immagine meno dura del solito, per aumentare il consenso dei cittadini sulla sua proposta. Quindi ha elencato una serie di provvedimenti condivisi anche dai democratici, per cercare di convincerli a negoziare una soluzione allo shutdown. Solo all’ultimo ha citato il muro, che potrebbe anche diventare una barriera metallica, ma è un punto irrinunciabile per lui, perché è stata la promessa elettorale che aveva attirato l’attenzione sulla sua candidatura, e deraglierebbe la sua corsa alla riconferma nel 2020 se non la mantenesse.
I democratici hanno risposto con una replica congiunta di Pelosi e Schumer, che lo hanno accusato di «creare ad arte la crisi, diffondere la paura, e governare con i capricci» come lo shutdown. I due capi dell’opposizione hanno detto che condividono la necessità di garantire meglio la sicurezza del confine meridionale, ma attraverso altri mezzi più moderni, che sono pronti a finanziare. Non il muro, che è solo una inutile impuntatura elettorale di Trump. La soluzione quindi sta nel separare i due problemi: riavviare subito le operazioni dello stato, attraverso la legge bipartisan già votata anche dai repubblicani al Senato; e aprire un negoziato sulle misure da adottare per assicurare la frontiera, ma anche per consentire all’immigrazione legale di entrare negli Usa.
Paolo Mastrolilli, La Stampa