Non informa i suoi utenti. O almeno, non abbastanza, di quanto valgono i loro dati e di come li userà per trarne profitto. Pratiche scorrette che violano il Codice di Consumo, e che hanno portato l’Antitrust italiana — l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato — a infliggere una multa pari a 10 milioni di euro a Facebook. Il social network, si legge nella nota che conclude un’istruttoria avviata ad aprile, «induce ingannevolmente gli utenti consumatori a registrarsi nella piattaforma Facebook, non informandoli adeguatamente e immediatamente, in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti, e, più in generale, delle finalità remunerative che sottendono la fornitura del servizio di social network, enfatizzandone la sola gratuità».
Gli articoli violati del Codice di Consumo, secondo l’Autorità, sono il numero 21 e il numero 22. Pur solamente iscrivendosi, continua, «gli utenti consumatori hanno assunto una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso». Le informazioni che Facebook fornisce al suo pubblico sarebbero incomplete, generiche e quindi non sufficienti per garantire la trasparenza del servizio.
Non solo. Secondo l’Antitrust italiana verrebbero violati altri due articoli, il numero 24 e il numero 25. Perché Facebook attuerebbe una «pratica aggressiva» in quanto esercita «un indebito condizionamento nei confronti dei consumatori registrati, i quali subiscono, senza espresso e preventivo consenso — quindi in modo inconsapevole e automatico — la trasmissione dei propri dati da Facebook a siti web/app di terzi, e viceversa, per finalità commerciali». Infine, l’Autorità chiede a Facebook di pubblicare una dichiarazione che spiega e informi i suoi utenti in modo completo.
Arriva la risposta di Facebook, tramite un portavoce: «Stiamo esaminando la decisione dell’Antitrust e speriamo di poter lavorare con loro per fare chiarezza su quanto contestato. Le persone hanno il possesso e il controllo delle loro informazioni personali su Facebook».
Corriere.it