Si è trovato all’incrocio tra il nuovo e il vecchio (apparente). Dal 2017 Matteo Del Fante è amministratore delegato delle Poste. Qualcosa come 140 mila dipendenti, un recapito riorganizzato alla luce delle nuove esigenze dell’e-commerce e che riguarderà 5 mila dei 10 nuovi assunti entro il 2022. Come pure del fatto che uno su quattro degli acquisti avvenuti online sono pagati con una carta Poste Pay. E adesso ha siglato anche una sorta di patto con i piccoli comuni per non lasciarli soli. Per presentarlo ieri mattina c’erano un po’ tutti dal premier Giuseppe Conte ai ministri Matteo Salvini e Giulia Bongiorno alla viceministro Laura Castelli. Del resto dei quasi ottomila comuni italiani il 70% circa ha meno di 5 mila abitanti. Se gli italiani prima degli scandali erano abituati a scrivere banca con la b maiuscola questa abitudine non sembrano averla persa con le Poste. Se non altro perché nelle casseforti del gruppo quotato alla Borsa di Milano sono custoditi qualcosa come 513 miliardi di risparmi degli italiani. Che significa un po’ meno di un terzo del prodotto interno lordo totale italiano.
Una bella responsabilità…
«Una responsabilità seria. Anche se è dal 2003 che me ne occupo, prima come direttore finanziario della Cassa depositi, poi come direttore generale della Cdp, oggi come amministratore delegato di Poste».
Oggi lo spread si è preso una pausa, ma rimane molto alto… Preoccupante.
«La fotografia che ho io è un pochino diversa. Al di là della storia, il libretto Postale nel 2026 farà 150 anni, il Buono per giovani né farà cento nel 2025, i nostri prodotti sono posseduti da 30 milioni di clienti. Il Buono per i diciottenni è stata una felice intuizione di 12 anni fa. Siamo per premi la prima compagnia vita in Italia. I nostri prodotti sono quelli cresciuti di più. Ma perché sono di lungo termine come vede. La preoccupazione si registra molto meno».
Sbagliano le imprese e i mercati?
«No, hanno approcci diversi. E’ il mondo finanziario perlopiù internazionale che si preoccupa. Avendo, ahinoi, un debito pubblico molto importante, chi ha altrettanto importanti posizioni, ne ha acquistato tanto, può avere benefici in un senso o nell’altro».
Cioè… sta dicendo che vendono e comprano continuamente facendo oscillare i prezzi?
«Hanno una logica per la quale anche solo 10 punti base in meno nello spread da 300 a 290, o comunque solo l’1% per chi ha grossi investimenti significa molto».
Ma questo per le imprese significa tassi più alti, costo del denaro maggiore, per i risparmiatori che hanno titoli di Stato meno valore dell’investimento.
«Un’impresa, soprattutto se inserita nel mercato internazionale deve seguire l’andamento dei tassi e deve essere giustamente attenta al costo del denaro. E deve preoccuparsi per la sostenibilità del suo business. Sul risparmio l’orizzonte raramente è quello del breve termine».
A meno che il trend non sia quello a salire costantemente…
«Ma quello non dipende da noi. Ci sono politiche nazionali ed europee che si confrontano».
Gli effetti però si vedono.
«Gli effetti che vediamo noi sono di un’aumentata maturità dei risparmiatori associata a un livello di conversazione anch’ esso maggiore e non solo perché li impongono le regole come Mifid e IDD. Il mondo non sta cambiando solo perché lo diciamo ma è realmente così. Ieri abbiamo toccato il record storico di pacchi consegnati in un giorno: abbiamo superato 1 milione. In tutta la settimana scorsa ne sono stati consegnati 2,3 milioni».
Si consuma, ma attraverso l’e-commerce.
«Il fenomeno è reale. E in Italia sta crescendo più che altrove in Europa».
E’ legata a questo la vostra iniziativa con i piccoli comuni, la possibilità di reale connessione grazie alla tecnologia?
«Sì, siamo legati al piano industriale di febbraio scorso del quale sono molto fiero e che concentra su distribuzione e recapito il nostro business. Se pensa che un portalettere può portare pacchi fino a 5 chili e che un pacco è enormemente più redditizio rispetto alla lettera capisce il perché di una scelta».
Ma tutti si stanno concentrando sulle grandi città, le banche chiudono le filiali…
«La tecnologia ci sta dando opportunità impensabili fino a qualche mese fa. La cablatura in fibra ottica, la nuova telefonia mobile 5G consentono di agire in remoto. Anche a piccole e piccolissime imprese sparse per il territorio o in comuni piccolissimi. Ecco perché noi saremo lì dove avvengono i pagamenti, ci sono le consegne. Solo per darle un’idea, gestiamo 26 milioni di carte di pagamento. Quando si parla di big data e intelligenza artificiale noi la stiamo facendo davvero grazie al fatto che ogni anno facciamo 400 milioni di singole operazioni».
Avete però fatto un accordo con Amazon, un’azienda da 1000 miliardi, non rischia di fagocitarvi?
«Non potevamo non farlo è il principale operatore di e-commerce. L’abbiamo siglato anche con i principali cinesi come Alibaba o l’europeo Ynap. Questo ci permette di avere un posizionamento ottimale perché a fronte di una crisi del recapito nel mondo possiamo dire la nostra».
Ma non è che con un governo che sta disperatamente cercando sponde in un’economia che per il momento non risponde agli stimoli, vi muovete voi che siete pubblici?
«Si deve distinguere tra aziende pubbliche quotate e non. Noi siamo quotati. Esiste un patto con gli investitori su obiettivi a 5 anni. E credo che anche gli investitori istituzionali e gli stakeholder sappiano che quei patti sono da rispettare affinché anche l’azionista pubblico sia salvaguardato».
Daniele Manca, Corriere della Sera