Mi spiace tediare ancora i lettori parlando di noi giornalisti, accusati nei giorni scorsi dai Cinquestelle di essere delle prostitute. È solo per puntualizzare che in Italia la prostituzione in sé non è reato. Il nostro codice penale punisce invece lo sfruttamento, l’induzione e il favoreggiamento della prostituzione, reato sicuramente consumato domenica sulle nostre televisioni, occupate a tempo pieno da politici grillini. Il ministro della Giustizia Bonafede da Lucia Annunziata, il vicepremier Di Maio da Giletti e il portavoce del premier Casalino da Fazio hanno infatti pontificato a ruota libera ingrassando, non senza contropartita, gli ascolti e i portafogli di giornalisti-prostituti alla stessa stregua di un qualsiasi pappone, magnaccia o ruffiano che chiamar si voglia.Come nel mondo del vizio, anche in quello dell’informazione ci sono prostitute e prostitute. Con Di Maio, per esempio, Massimo Giletti, un gigante del giornalismo tv, su La7 ha giocato il ruolo della prostituta accondiscendente. Ha esordito riguardoso e intimorito: «Non dico che lei debba chiedere scusa, ma forse ha esagerato…». Quasi pentito della domanda, respinta brutalmente al mittente, ha aggiunto come a scusarsi: «La conosco come persona equilibrata…». Per poi crollare e dare ragione all’importante ospite: «È vero, troppi giornalisti peccano di disonestà intellettuale… c’è gente che serve politicamente invece che giornalisticamente». E infine l’autoassoluzione: «Le assicuro, Di Maio, che Cairo (editore di La7, ndr) è l’unico editore liberissimo», come dire che gli altri sono più o meno dei mascalzoni. Il resto è filato sulla stessa falsariga. La domanda sulle documentate tensioni nel governo tra Cinquestelle e Lega sono precedute dalla premessa che «ne parliamo con tono scherzoso», quelle sul rapporto tra Di Maio e Salvini che «si tratta di una coppia fortissima con il premier Conte che media con abilità», e via sbrodolando. Vabbè, è andata così. Ma uno si immagina che gli ospiti scelti per commentare l’intervista a Di Maio fossero selezionati come si addice alla televisione più liberissima del mondo – rispettando il pluralismo. Appaiono invece Dino Giarrusso, presentato da Giletti come «ex Iena vicino ai Cinquestelle» quando in realtà da tempo è un dipendente dei Cinquestelle; Peter Gomez, direttore del sito del Fatto Quotidiano, uomo libero sì ma comunque libero di stare dalla parte dei Cinquestelle, che di recente gli hanno pure offerto la direzione del Tg1; Antonio Di Pietro, noto garantista sopra le parti presentato come «uno molto intelligente» (tanto intelligente, aggiungiamo noi, da passare al volo da leader di Mani pulite a senatore del Pd). Conoscendo Massimo Giletti, quello che indispettì – non su la libera La7 ma sulla Rai – con le sue domande Silvio Berlusconi al punto da farlo alzare dalla sedia, non mi raccapezzo. Per tre volte si è fatto zittire dal giovane vicepremier con un perentorio «aspetti un attimo…». Me lo hanno drogato? Di Maio ha poteri ipnotici? Era un sosia? Troppa libertà gli ha dato alla testa? Domande inutili. Forse ha ragione lui, il nostro mondo è pieno di prostitute. Ma per non stare furbescamente nel generico mi piacerebbe che Massimo Giletti facesse i nomi dei colleghi che sa essere indegni perché chi sta a schiena diritta come lui e pochi altri non è tipo da lanciare il sasso e nascondere la mano. Mi aspetto un elenco lungo e severo, senza facili assoluzioni ma neppure generose autoassoluzioni.
Alessandro Sallusti, Il giornale