Per Carige, alla fine, è dovuto intervenire il Fondo Interbancario (nel suo schema volontario, e non in quello obbligatorio) a metterci una pezza ed evitare il fallimento.
Fallimento che non è ancora del tutto scongiurato, ma che probabilmente sarà evitato anche tra alcuni mesi, nel caso in cui l’aumento di capitale non andasse in porto. Oramai, la sfiducia nei confronti del sistema bancario è elevata al punto tale che è lo stesso sistema a non potersi permettere altri crack.
Il comitato di gestione dello Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi ha pertanto deliberato un intervento fino a 320 milioni di euro per sottoscrivere il bond subordinato di Banca Carige. La proposta di intervento verrà sottoposta all’assemblea del Fondo, convocata per il prossimo 30 novembre.
La delibera è necessaria perché, come si legge nella relazione al 31 dicembre 2017, il fondo è a secco:
“A seguito del perfezionamento dell’intervento a favore di Caricesena, Carim e Carismi, la dotazione patrimoniale dello Schema volontario è stata utilizzata per 784 milioni di euro, a fronte dei 795 deliberati. Restano, quindi, nella disponibilità dello Schema volontario 6 milioni di euro, rivenienti dal minor costo dell’intervento, oltre a 5 milioni di euro rappresentativi dell’impegno assunto dalle banche per i fini di cui sopra”.
Ci permettiamo un suggerimento al Comitato di Gestione.
Anche se si fa finta di non saperlo (1), la Banca Popolare di Bari sta più di là che di qua. Da sei mesi circolano voci di una necessità di capitale per 250-350 milioni e ad inizio dicembre la BCE comunicherà il risultato della sua analisi (Srep) sulla banca. Per non perdere tempo duplicando il lavoro, il 30 novembre converrà deliberare non solo i 320 milioni per Carige, ma anche un’analoga somma per la Popolare di Bari. Facciamo 700 milioni in due, e non se ne parla più.