Una trentina di pagine e una premessa in grassetto: «Nel caso di specie l’attività può essere inquadrata nell’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette a cessione di beni al dettaglio e, come tale, soggetta all’imposizione ai fini dell’Irpef, dell’Iva e dell’Irap». Secondo l’assunto — lo dice la legge — che «l’attività criminale organizzata in parola può essere inquadrata quale “società illecita occulta” quindi soggetto autonomo di imposta». Gli imprenditori sono presunti trafficanti di droga: 24 indagati dalla procura di Trento, in udienza preliminare — dovrebbe concludersi a fine ottobre — per associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina e hashish. Uno dei «soci», come li definisce il Fisco, marocchino di 54 anni, vive a Brescia. Gli altri tra Bergamo, Vicenza, Trento, Ravenna, Perugia, Reggio Calabria e Rimini.
A ognuno di loro l’Agenzia delle entrate ha recapitato due cartelle esattoriali da oltre 5 milioni di euro — riferite alla «società» tutta — affinché paghino all’erario i contributi su quanto si stima abbiano guadagnato trafficando stupefacenti nel 2015 e 2016. Nel 2015 la società criminale avrebbe movimentato 147,7 chili di hashish e 3 chili di cocaina. Il calcolo si basa quindi sul prezzo medio delle dosi vendute in base alla percentuale di principio attivo. Quindi: in merito all’hashish, «è stato appurato che il tenore medio del principio attivo è pari al 35% del peso», che su circa 147 chili fa 51,69 kg. Considerando poi la quantità idonea per «un effetto stupefacente» come da decreto ministeriale, si ricavano 2.067.800 dosi. Il prezzo della droga ceduta ai consumatori, infine, è stato determinato applicando le percentuali di diluizione indicate in tabella dalla magistratura: 1,5 euro a dose. Stesso discorso per la cocaina, venduta (si presume) a 70 euro a dose per 24 mila dosi «consumate in frode». Sulla base di questi parametri il Fisco calcola, per il 2015, 4.781.700 euro di proventi illeciti (3.101.700 dal traffico di hashish e 1.680.000 dalla coca) nelle casse dell’associazione a delinquere. E chiede, in totale, imposte per 3 milioni 165 mila euro sui redditi d’impresa (stimando anche un imponibile per ogni socio/indagato di quasi 200 mila euro). È andata meglio, per così dire, nel 2016. Stesse premesse e medesimi parametri di calcolo, si stimano 186,7 chili di hashish movimentati, per 2.613.800 dosi sempre da 1,50 euro l’una. Per proventi illeciti «non contabilizzati e non dichiarati» da 3.920.700 euro. Scende il reddito imponibile procapite: poco più di 163 mila euro. E alla fine il cumulo imposte (e sanzioni) vale 1.954.013 euro. In tutto, quindi, circa 5 milioni.
«La riflessione che impongono questo tipo di avvisi di accertamenti deriva dal fatto che nel bilancio del nostro Stato, tra le poste attive, figurano questi crediti di imposta sulle attività illecite», commenta l’avvocato bresciano Gianbattista Scalvi, che assiste uno degli indagati. «Inviterei a pensare a cosa succederebbe se un’impresa privata introducesse tali criteri di redazione del bilancio». A questo punto «valuteremo i riscorsi del caso anche se sarà divertente, mi conceda la battuta, chiedere l’accertamento con adesione al fine di rappresentare le ragioni del mio assistito». E, magari, anche le spese. «Anche perché siamo in attesa dell’esito del giudizio penale. In caso di assoluzione lo faremo presente. In caso di condanna, invece, chiederemo all’Agenzia delle entrate perché non è possibile, a questo punto, dedurre i costi dell’attività».
Mara Rondella, Corriere.it