Possono mancare molte cose, ma la sabbia? Ce n’è di deserti interi… Cominciamo però dall’inizio. Il “fracking”—la nuova tecnologia per l’estrazione del petrolio che viene dagli Usa — ha in pochi anni rovesciato tante certezze geopolitiche ed economiche. Fino a non molto tempo fa prigionieri dei loro fornitori energetici mediorientali, gli Stati Uniti se ne sono improvvisamente liberati e ora tentano—con esiti mediamente disastrosi — di disimpegnarsi da quella parte del mondo. Anche se non serve più agli Usa, il petrolio del Medio Oriente resta di vitale importanza per gli alleati e per le economie associate—come quella europea. Bisogna allora che le cose avvengano con ordine e non poca parte della sanguinosa cagnara che regna ora nel MO deriva dalla competizione per decidere chi debba restare come “sceriffo” regionale nel dopo. La nuova tecnologia ha cambiato molte carte in tavola e ne cambierà altre ancora. Siccome può dare indipendenza energetica e ricchezza, parecchi paesi ipotizzano di avvalersene. Un danno ecologico c’è, ma è relativamente modesto, meno di altre forme estrattive. In più, i campi di shale—la roccia scistosa che si forma negli strati argillosi di ciò che furono i primordiali fondi marini, dove il fracking va a pescare — sono comuni nel mondo. Non pochi governi sognano il fracking di notte come la soluzione a tutti i problemi—di giorno sono più politicamente prudenti. Oltre al problematico impatto sociale, c’è anche un’altra seria difficoltà. Senza la sabbia, quella giusta e in grandi quantità, non se ne fa niente. La “frac sand”, la sabbia da fracking, è speciale. Non basta la banale sabbia della spiaggia o del deserto. È sabbia di quarzo, pulita, molto resistente alla compressione, con i granelli lisci e arrotondati per facilitare il pompaggio, perlopiù nella gamma dimensionale tra gli 0,4 e gli 0,8 millimetri. Il fracking utilizza l’acqua ad alta pressione per fratturare la roccia così da permettere agli idrocarburi di uscire dagli strati scistosi dove sono intrappolati. Il problema è che, a togliere la pressione, gli strati si richiudono e non esce più niente. I granelli sabbiosi, infilandosi a forza con l’acqua, agiscono come un “piede nella porta”, bloccando aperte le lastre scistose e mantenendo la permeabilità della roccia un volta fratturata. La sabbia “giusta” non è tanto facile da trovare e ogni pozzo trattato ne richiede diverse migliaia di tonnellate, tipicamente dalle 4mila alle 6mila — a un prezzo che, indicativamente, può aggirare sui $40$50 la tonnellata. Con il suo peso i costi di trasporto incidono fortemente. È così essenziale che si è anche sperimentato l’uso di micro-palline di ceramica e perfino di piccolissime sfere in alluminio, ma sono soluzioni costose e il fabbisogno è tuttora coperto per oltre il 90% da sabbia naturale. In parallelo con il fracking si è dunque sviluppato il nuovo e fiorente settore della frac sand. Secondo le stime, vale già oltre $8 miliardi annui e potrebbe toccare i $10 miliardi nel 2022. I prezzi sono e restano alti perché a momenti la sostanza scarseggia quasi più degli idrocarburi che aiuta ad estrarre. Il shakespeariano Re Riccardo III è ricordato per—restando disarcionato in battaglia—aver gridato “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!” La frac sand è una materia assolutamente umile, un mero dettaglio, tanto meno di un cavallo, ma senza… quel petrolio resta dov’è.
James Hansen, Nota Diplomatica