Con la firma e la sottoscrizione del presente contratto mi impegno a rispettare i punti seguenti, consapevole che il non rispetto comporta una netta modulazione del rapporto didattico-educativo e conseguenti azioni e scelte da parte dell’insegnante…». Inizia così. E finisce con le firme del professore e quella di ciascuno studente. Un vero e proprio contratto è stato sottoscritto la scorsa settimana tra diciassette ragazzi di una classe del liceo «Fogazzaro» di Vicenza e il loro docente di Italiano e Storia. Due pagine fitte di buoni propositi per l’anno scolastico, che gli alunni di terza si sono impegnati a mettere in atto.
Un patto tra «gentiluomini», messo nero su bianco dal professor Simone Ariot che l’ha proposto ai ragazzi il primo giorno di scuola. «Li ho lasciati liberi di decidere se sottoscriverlo oppure no – racconta il docente – hanno portato a casa la propria copia del contratto, l’hanno letta e riletta, ci hanno riflettuto… E il giorno dopo me l’hanno riconsegnata con la loro firma in calce. Tutti, nessuno escluso». L’insegnante ha fatto altrettanto e, come ogni accordo che si rispetti, ciascuna delle parti ne ha ottenuto una copia da conservare. Nel contratto, lo studente si impegna ad «accogliere le diversità espresse dai miei compagni», a «mantenere un clima favorevole all’apprendimento, alla condivisione emotiva, all’aiuto reciproco», a utilizzare «un tono di voce non invadente». Ma soprattutto si costringe ad avere rispetto della scuola e dei coetanei: con la propria firma in calce a quel foglio, il liceale si assume la responsabilità di «mantenere pulita e funzionale l’aula», di non mettere in atto episodi di cyberbullismo e di accettare il fatto che «l’insegnante non è un nemico ma un membro della stessa squadra, è il nostro capitano e ci fornisce suggerimenti per vincere la partita: la sua vittoria è anche la nostra vittoria».
Non solo. Il documento che i ragazzi (tutti tra i 16 e i 18 anni, iscritti all’indirizzo di Scienze Applicate del liceo) si sono convinti a firmare, li «obbliga» ciascuno a presentarsi alle lezioni «abbigliato in modo adeguato: posso scegliere lo stile che preferisco, sentendomi rappresentato da un modello estetico o da un altro, ma non dimenticherò di essere in uno spazio di formazione e non confonderò la scuola con una palestra, una piscina, una discoteca». Da qui, l’impegno a evitare «pantaloni corti, strappati in modo diffuso, canottiere, scollature eccessive o gonne troppo corte, nel rispetto mio e della comunità apprendente».
L’obiettivo è chiaro: la scuola (che già dispone di un regolamento d’istituto, che fissa le relative sanzioni disciplinari per chi «sgarra») si pone su un piano di condivisione delle norme con i propri studenti, che firmando un contratto si sentono responsabilizzati e, in qualche misura, trattati da adulti. «È un gruppo nuovo – spiega Ariot – nato dalla scissione di una classe del secondo anno, con l’ingresso di studenti provenienti da altri istituti e di alcuni che a giugno erano stati bocciati. Ho pensato che discutere con loro le regole di comportamento, per arrivare poi alla sottoscrizione di un contratto, potesse aiutarli a sentirsi parte di una squadra». L’approccio sembra funzionare. Al punto che la preside del «Fogazzaro», Maria Rosa Puleo, non esclude di replicare l’iniziativa: «Si tratta di norme dettate dal buonsenso e in gran parte già presenti nel regolamento scolastico. Ma in alcune situazioni, come una classe nuova e non ancora “amalgamata”, è opportuno ribadirle. L’idea di farlo attraverso un contratto è positiva perché costringe lo studente a riflettere sul significato di ciascuna regola, prima di firmare il documento».
Ogni patto coinvolge entrambi i fronti. E quindi anche il professore è tenuto a fare la sua parte: gli studenti hanno il diritto di «esprimere dubbi, purché in modo educato», di «contattare l’insegnante via mail per chiarimenti», e di parlargli «se sento che c’è qualcosa che non va». Per Ariot sono aspetti irrinunciabili dell’insegnamento: «Mi pareva opportuno ribadire, anche per iscritto, ciò che qualunque buon docente tenta di trasmettere ai propri allievi: della scuola e degli adulti, ci si può fidare».
Andrea Priante, Corriere.it