“La cotoletta con l’insalata era pessima” commenta l’utente, salvo poi leggere nella replica del ristoratore che nel suo locale hanno tolto le cotolette dal menu da oltre due anni. “Il cameriere è stato sgarbato” e poi si scopre che in quel bistrot lavorano solo donne. “Ho mangiato divinamente”.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ma il risultato è sempre lo stesso: negative o positive che siano, alcune recensioni on line non sono frutto di una vera visita al locale. E se lo sono, vengono scritte non in buona fede, ma dietro compenso. Falsando tutta la classifica che deriva dalla somma delle recensioni.
Ma adesso il Tribunale Penale di Lecce ha stabilito che scrivere recensioni false nascondendosi dietro altrettanto farlocche identità è un reato. La causa – una delle prime in Italia di questo genere – si è conclusa con la condanna a 9 mesi di carcere e al pagamento di circa 8000 euro per spese e danni per il proprietario di PromoSalento, un’agenzia che vendeva pacchetti di recensioni false a titolari di ristoranti e hotel in Italia.
“Ben vengano sentenze di questo tipo”. Matteo Fronduti, del Manna di Milano – spesso critico e ironico nei confronti di recensioni online che lo riguardano – si dice contento che la questione diventi finalmente nota a tutti. “Ovviamente il problema non è TripAdvisor di per sé, ma il fatto che fornendo libero accesso a chiunque non ha poi un controllo reale. Diciamo che se uno vuol lucrare sulle falle del sistema, il sistema lo permette. Per esempio lascia moltissimo margine alle vendette personali (chi ti vuol nuocere con recensioni ingiustamente negative) ma anche ai furbi che vogliono approfittare dei ristoratori preoccupati di avere pochi commenti lusinghieri. A me tempo fa hanno offerto pacchetti, ne esistono silver, gold e platinum, comprando i quali ti promettono un tot di commenti positivi per scalare posizioni tra i migliori ristoranti. Sono agenzie che usano font e loghi simili a TripAdvisor, presentano operazioni commerciali in forma ingannevole. Ben venga la sentenza, perché la vera falla di Trip è la mancanza di controllo”.
Slìmile il parere di un’altra chef: “Questa sentenza mi colpisce: 9 mesi di carcere sono tanti”, dice Deborah Corsi della Perla di San Vincenzo. “Devo dire che purtroppo è un meccanismo innescato dal rating. Alcuni ristoratori possono essere tentati di accaparrarsi commenti positivi. Il problema non è la filosofia di TripAdvisor (è legittimo che ciascuno esprima la sua opinione sull’esperienza fatta) ma l’assenza, almeno finora, di controlli davvero efficaci da parte della piattaforma stessa. Al momento come ristoratori non ci sentiamo tutelati contro le recensioni false o ingiustamente cattive. Quando mi è capitato di segnalare una recensione ingiuriosa (in cui prendevano in giro altri clienti) non mi hanno risposto né cancellato”.
A quanto sembra, però, nel caso della condanna di Lecce, parte attiva nell’individuare le responsabilità sarebbe stato proprio il portale di recensioni, che si era costituita parte civile e che avrebbe ha supportato il procedimento cercando e condividendo le prove delle recensioni fake raccolte da un proprio team di indagine interna. “Crediamo che si tratti di una sentenza storica per Internet – commenta in una nota Brad Young, vice presidente e Associate General Counsel di TripAdvisor -. Scrivere recensioni false ha sempre rappresentato una violazione della legge ma questa è la prima volta che, come risultato, il truffatore è stato mandato in prigione. Investiamo molto nella prevenzione delle frodi e siamo efficaci nell’individuarle: dal 2015 abbiamo bloccato le attività di più di 60 aziende di recensioni a pagamento nel mondo. Ma non possiamo fare tutto da soli ed è per questo che desideriamo collaborare con le autorità competenti e le forze dell’ordine per supportare i loro procedimenti penali”.
Eleonora Cozzella, Repubblica.it