Una testimonianza molto sentita, quella di Eliza Khuner su Wired Usa. In un articolo per il magazine tecnologico la data scientist racconta la sofferta scelta di lasciare il suo “lavoro dei sogni” a Facebook per stare con la figlia appena nata e gli altri due maschi. Ma svelta soprattutto il trattamento, piuttosto fermo, incassato da parte dei responsabili delle risorse umane della piattaforma di Mark Zuckerberg. “Facebook dovrebbe e potrebbe fare di più per le famiglie” scrive l’esperta informatica.
A quanto pare non è la sola a pensarla così. Insieme alla lettera di licenziamento inviata a metà luglio ha anche pubblicato, in un gruppo sul social riservato ai dipendenti in tutto il mondo, un post in cui ripercorreva appunto i desideri a cui avrebbe aspirato – un lavoro part-time, più giorni a casa, elasticità nel recuperare le ore perse – e la dura realtà con cui si è scontrata. Quella del dipartimento risorse umane: “Non puoi lavorare da casa, non puoi lavorare part-time, non puoi prenderti altro congedo non retribuito” la risposta alle sue richieste. Quel post ha innescato una reazione colossale, con 5.500 dipendenti del social network che le hanno raccontato le loro storie pregandola di “non sentirsi sola”.
“Grazie per aver condiviso, sto piangendo alla scrivania. Hai colto molte delle mie paure ed ansie come dipendente donna” ha scritto qualcuno. Una neomamma, invece, ha spiegato di “riuscire finalmente a non sentirsi l’unica a dover affrontare un problema del genere”. Voci di chi ancora lavora a Facebook, spiega nel suo intervento la data scientist. Ma quante mamme hanno lasciato il posto silenziosamente perché non potevano ottenere la flessibilità necessaria? E quanti genitori lascerebbero se potessero permetterselo?
La risposta di Facebook pare sia arrivata con un intervento di Sheryl Sandberg. La direttrice operativa del gigante di Menlo Park ha detto che il management intende muoversi in quella direzione in futuro ma al momento non può. Perché consentire a tutti i genitori di lavorare part-time inciderebbe sul morale del resto del team, ha detto. Ma a Khuner non è bastato così, in occasione del meeting settimanale riservato allo staff di Facebook, la donna ha affrontato direttamente Mark Zuckerberg, sfidandolo a fare meglio. Niente da fare: Zuck si sarebbe detto dispiaciuto per la decisione di licenziarsi e avrebbe ripetuto le parole della Sandberg. “Ha spiegato di voler offrire più scelte ai genitori ma che gli impegni per servire l’intera comunità sono troppo grandi. Magari più avanti”.
Khuner si rende conto di essere, nonostante tutto, una privilegiata: “C’è chi lavora ancora più duro per meno e non ha diritto al congedo”. In Facebook, invece, oltre ai quattro mesi per tutti i neopapà e le neomamme sono previsti 4mila dollari cash per ogni bambino, il rimborso parziale delle spese per l’infanzia e ospitali sale di allattamento in ogni edificio. La data scientist arriva a prendere l’Europa come modello: “Il congedo parentale è di minimo 4 mesi e molti Paesi europei ne prevedono di più. Gli Stati Uniti sono il solo Paese sviluppato in cui non è prevista la maternità obbligatoria, le mamme americane hanno diritto solo a 12 settimane di congedo non retribuito”.
Per questo le società come Facebook dovrebbero fare un ulteriore salto ed evitare ai loro dipendenti di dover “scegliere fra i figli e la carriera”. Forse costerebbe di più ma più persone rimarrebbero sul posto di lavoro e la soddisfazione sarebbe più elevata. “Dovessero cambiare, sanno dove trovarmi”.
Simone Cosimi, Repubblica.it