Mi chiamo Angelica e sono una studentessa di 18 anni che vive all’Aquila. Mi trovo in quella fascia d’età in cui si fanno dei progetti per il proprio futuro, ci si chiede cosa si vuole. Da poco più di un mese ho svolto il mio Esame di Stato nella mia scuola, quella «vera», quella che mi ha accolto quando avevo 14 anni e si apriva davanti a me un nuovo percorso di studi, un nuovo orizzonte. A breve se ne aprirà un altro ancora, il mondo universitario. Noi ragazzi aquilani ci prepariamo ad affrontare test di ammissione, facoltà e nuove decisioni, nonostante tutto. Non è stato facile, in questi 5 anni non siamo rimasti sempre nel nostro edificio. Ogni mattina per 2 anni mi sono recata in un’altra scuola che ci ha ospitato, a Colle Sapone nella sede dell’Itis. La nostra sembrava sicura, eravamo certi di essere al sicuro, ma ci sbagliavamo. Abbiamo avuto un periodo travagliato, in particolare lo scorso, fatto di proteste, di trasferimenti in luoghi e orari differenti. Dopo il ricorso al Tribunale amministrativo regionale, proprio pochi giorni prima che noi studenti ci recassimo nuovamente in quelle aule per svolgere le nostre prove d’esame, è stata dichiarata inagibile, la scuola dove ho trascorso la maggior parte della mia adolescenza. Ho frequentato il liceo delle scienze umane e la mia classe ha passato gli ultimi mesi di scuola nell’Aula magna dove a maggio stavamo con le stufette e le coperte e non era facile avere una normale didattica.
Il Liceo Cotugno è stato spezzato in cinque sedi, senza più la normalità di una scuola. Nonostante le grandi difficoltà a cui ci siamo dovuti sottoporre, come la scuola pomeridiana, guardando dalla finestra il sole che tramontava mentre ascoltavamo la lezione, noi studenti aquilani pensiamo al futuro che ci aspetta e che non vediamo l’ora di afferrare e di vivere. Purtroppo la maggior parte non lo trascorrerà all’Aquila ma desidera trasferirsi, perché la città ad oggi, dopo 9 anni dal sisma, riesce ad offrire ben poco ai ragazzi. I giovani aquilani, al tempo bambini, pensavano che dopo essere dovuti scappare da casa loro, allontanarsi dalla città doversi adattare a nuove realtà e dover fare i conti ogni anno con un ricordo doloroso, avrebbero poi però avuto una nuova città, rispettabile e di cui andare fieri, una nuova scuola dove poter avere opportunità ed esperienze, ma così non è stato. Con un po’ di delusione e con le parole che sin dal 2009 tutti ci hanno sempre ripetuto «la vita va avanti», da quando il terremoto ha segnato un «prima» e un «dopo» nelle vite di ognuno di noi, come una nuova linea del tempo con al centro stampata la data del 6 aprile 2009, io e migliaia di altri ragazzi ci tufferemo nel nostro futuro più forti e tenaci di prima proprio per aver affrontato tutte queste difficoltà.
Nove anni dopo quelle scosse che hanno devastato la nostra città, i ragazzi e le ragazze non sanno dove vedersi, non trovano stimoli né eventi, non vivono il centro o la periferia come avrebbero voluto e non nascondo che la delusione e il malcontento sono diffusi. Quando si arriva al quinto anno di liceo si riflette, si fa un bilancio della propria vita, ci si consulta, si analizzano i propri desideri e il desiderio di molti ragazzi, purtroppo, non è quello di rimanere in questa città. Molti miei coetanei andranno via, a costruirsi un futuro dove vengono offerte opportunità, condizioni adatte e favorevoli, vantaggi. Ma sono certa che sapremo raccogliere l’essenza dei nostri progetti e dei nostri sogni anche se nulla nel passato è stato facile. Vivremo il presente e costruiremo un futuro migliore, ammirandolo meravigliati.
Angelica Robimarga, Corriere.it