La data che farà da spartiacque è il 5 settembre. Quel giorno il Tribunale del riesame di Genova affronterà, su rinvio della Cassazione, il tema del sequestro dei conti leghisti dopo la condanna per truffa ai danni dello Stato di Umberto Bossi e Francesco Belsito. In Lega l’umore diffuso è il pessimismo: «Il sequestro potrebbe essere confermato e magari allargato anche ai conti correnti delle segreterie regionali. In sostanza, sarebbe sequestrata la Lega. Che rimarrebbe materialmente senza più un singolo euro». Lo sfogo è di un autorevole esponente di governo, il quale però non è affatto preoccupato per le sorti del partito: «Semplicemente, Salvini dovrà nascerne un altro». Insomma, anche se gli effetti si dispiegheranno nelle settimane e i mesi a venire, il 5 settembre, almeno dal punto di vista simbolico, potrebbe finire la Lega così come è stata fino ad oggi. E nascere il nuovo partito (più o meno) unico del centrodestra.
La domanda è: che tipo di partito? Il difficile settembre di Salvini ruoterà, e in maniera tutt’altro che secondaria, intorno a questo tema. Tenendo conto della sentenza della magistratura, che potrebbe addirittura arrivare a «mettere un’ipoteca su qualsiasi soggetto che contenga nel nome la parola Lega», il capo leghista dovrà scegliere se fondare un nuovo partito con il perimetro politico della Lega attuale, oppure porsi come il federatore unico di tutta l’area politica che non è centrosinistra e non è Movimento 5 Stelle.
Insomma, potrebbe giungere a compimento la fatidica opa su Forza Italia e su tutte le forze — anche locali — che già oggi non hanno alcuna difficoltà a riunirsi intorno al nome di Matteo Salvini. Se così decidesse, la svolta con ogni probabilità sarà lanciata con un disintermediatissimo appello via Facebook live. Anche per questo, i vicini al segretario leghista escludono scuotendo la testa l’ipotesi che pure negli ultimi giorni ha preso a circolare, quella di una caduta del governo relativamente rapida con elezioni politiche a marzo: «Dopo le elezioni europee di maggio, potrebbe avere un senso — ragiona un deputato —. Con in mano risultati abbaglianti, senza più una concorrenza nel centrodestra, Salvini potrebbe verosimilmente tentare la corsa alla presidenza del Consiglio da solo».
Certo, resta da capire se le tensioni all’interno del governo resteranno al di sotto del livello di guardia. «I 5 Stelle non devono metterci alle strette. Non è pensabile che non ci siano segnali chiarissimi su riforma delle pensioni, flat tax e Equitalia (la «pace fiscale»)» dice uno degli economisti della Lega. Mentre sulle grandi opere, ieri Salvini è stato esplicito. Con la regia di Luca Zaia, nella magnificenza della Scuola grande di San Rocco a Venezia, il leader leghista ha firmato il protocollo per la legalità sulla Pedemontana veneta. Ribadendo la linea: «Non ci hanno votato per fermare o per tornare indietro, non esistono decrescite felici: esistono solo le crescite felici. E noi siamo quelli che vogliono andare avanti, nel nome della trasparenza». Anche se tra gli scettici sulle grandi opere c’è il ministro Danilo Toninelli: «Con il ministro Toninelli lavoro benissimo, sia sul fronte delle infrastrutture sia sui migranti». Resta il fatto che al capo leghista mettere in evidenza le difficoltà tra gli alleati in fondo non dispiace. Parlando della presa di distanze del presidente della Camera Roberto Fico riguardo al premier ungherese Viktor Orbán («È quanto di più lontano ci sia dalla mia testa, come politica, come principi e come valori»), Salvini è stato tranciante: «Punti di vista. Qualcuno prima di parlare dovrebbe documentarsi, ma io non ho il tempo di polemizzare con Macron, figuriamoci se ho il tempo di polemizzare con Roberto Fico». In ogni caso, il vicepremier smentisce le tensioni all’interno del governo: «Macché. Nessuna tensione, nessuna cabina di regia… È normale che i ministri si incontrino».
Matteo Salvini oggi è meno preoccupato di qualche giorno fa sulla tenuta dell’Italia rispetto agli attacchi sul debito pubblico. Il premier ungherese Viktor Orbán gli ha infatti parlato del soccorso cinese, gli ha spiegato che in alcuni passaggi difficili attraversati da Budapest, i cinesi si sarebbero sostituiti ai fondi che stavano disinvestendo dall’Ungheria. Non per nulla l’annunciato viaggio in Cina di Salvini, anche se ancora non ha una data, è diventato una delle massime priorità del vicepremier.
Marco Cremonesi, Corriere.it