Il poeta turbato dal sesso ma con gli occhi di bambino
Nei suoi film mise in scena la scoperta innocente della donna e trasformò la Antonelli in un’icona. Maoista confuso e artista insicuro, prese il coraggio in prestito dalla moglie
(di Cesare Lanza per LaVerità) Ha avuto un grande successo. È entrato nella storia del cinema italiano. Ha legato il suo nome alla scoperta e alla perfetta valorizzazione (Malizia e Peccato veniale) di un’attrice, Laura Antonelli, di indimenticabili grazia e bellezza. C’è stata una lunga stagione in cui i produttori si contendevano l’opportunità di finanziare i suoi film. E tuttavia Salvatore Samperi non credo che la mia opinione sia esagerata – non ha avuto dal cinema e dalla vita quanto avrebbe meritato. È stato un piccolo genio sia come artista, sia, per le intuizioni narrative, sul piano sociale. Ha raccontato la figura femminile secondo l’innocenza, i sogni e i desideri di un eterno adolescente. Tutti, in qualche modo, ci siamo immedesimati: perché lo ha fatto con particolare sensibilità, attigua alla poesia, lontana dalla volgarità. Penso anche che non abbia avuto consapevolezza della sua identità, della sua qualità. Aveva una visione istintiva dell’amore e dei suoi aspetti sensuali, un’immaginazione erotica dei turbamenti impliciti nel desiderio. Politicamente aveva idee confuse, legate alle mode, soffocate dai pregiudizi. Non mi riferisco solo alla sua origine maoista, ma al sinistrismo irriflessivo che lo ha accompagnato in tutta la sua vita.
Ricordo una delle prime puntate di Bontà loro, il padre dei talk show che portò alla celebrità Maurizio Costanzo. In studio, con lui, c’era Indro Montanelli, che probabilmente neanche sapeva chi fosse Samperi. Indro all’epoca era considerato un appestato secondo la moda imperante di sinistra: al punto che era addirittura pericoloso farsi vedere in giro con il suo Giornale in tasca. Montanelli all’inizio del talk fu sorpreso dalla foga scomposta con cui Samperi lo aggrediva, mescolando luoghi comuni senza né capo né coda. Poi, con freddezza e poche battute, lo strinse in un angolo e lo mise ko. Un’esperienza imbarazzante, per i sostenitori (come me) di Salvatore. Avevo frequentato Samperi, apprezzandolo, durante la preparazione di un film, Nenè, tratto da un mio romanzo. Teoricamente avrei dovuto collaborare alla sceneggiatura, insieme con il regista e con Sandro Parenzo: in realtà non scrissi e non proposi una sola riga. All’epoca dirigevo il Corriere d’Informazione ed ero concentrato sul giornale. Ero lusingato dalla scelta di Samperi, all’epoca al vertice del successo. Nenè era la storia di un’iniziazione, delle prime scoperte sessuali di un ragazzo, ad opera di una più esperta cuginetta. Sembrava il soggetto ideale per Samperi, che aveva letto il racconto e aveva voluto acquistarne subito i diritti. C’erano tutti i presupposti per un nuovo successo. Invece, fu un disastro, imprevedibile, al botteghino. Samperi era mite, educato, insicuro: sostenuto dalla moglie, più adulta, diventava determinato, autore di decisioni drastiche, categoriche. A ripensarci, quella volta non fu così. L’iniziazione non fu né il pretesto per una coinvolgente e audace storia erotica, né ispirò una delicata, romantica favola d’amore. In due parole: né carne, né pesce. Infelice la scelta della protagonista, Leonora Fani, che poi si sarebbe consumata in ruoli semiporno. Salvatore non perse l’occasione per inserire Ugo Tognazzi nel ruolo di un barbiere comunista, desolato per la sconfitta alle elezioni del 1948 (nel romanzo non c’era e nella storia non c’entrava niente). Il pubblico, disorientato, si tenne lontano dalle sale. Ci fu chi disse che, senza il sostegno di Laura Antonelli, Salvatore era un regista dimezzato. Non era così.
Ma è interessante, a questo punto, rievocare cosa pensava Samperi di sé e, in primis, della sua attrice prediletta: «Laura Antonelli, l’avevo vista in un piccolo film e me ne ero innamorato. Aveva questo viso da Madonna e un corpo da Venere, attaccato alla terra». Durante le riprese di Malizia 2000 (un fiasco disastroso), nel 1991 aveva detto, con imprudente ottimismo: «Laura oggi è più vera: vent’anni fa sapeva che allungando un dito poteva toccare il mondo, ora deve allungare tutte e due le braccia… Aveva, e ha ancora oggi, anche nei nostri confronti, sospettosità e diffidenza che le impediscono di distendersi: come una che pensa che, dagli altri, deve guardarsi. É una donna che si sente raramente circondata da veri amici… Sono andato da lei dopo quello che le era successo (era stata accusata di detenzione e di spaccio di cocaina, ndr), volevo parlarle da essere umano a essere umano. E invece tutto è durato il tempo di un caffè: appena ho cominciato, lei mi ha costretto a esprimere tutto come con un telex, e mi ha risposto nello stesso tono…». Parlando di Malizia e delle scelte per il cast: «Cercavo un padre straordinario, come Turi Ferro: con la sua esperienza teatrale, la scelta è stata quasi immediata. In più volevamo fare un film senza grossi nomi… Mi era stato proposto, ad esempio Nino Manfredi. Ma Manfredi avrebbe spostato completamente l’asse del film, volevo un film corale con un solo centro di gravità…». L’altro colpo di genio dì Samperi fu la scelta di Alessandro Momo per il ruolo del ragazzo che sognava di conquistare Laura Antonelli, a dispetto del padre: «Momo abitava davanti casa mia, era uno di questi discolacci che facevano casino dalla mattina alla sera e venne a fare un provino. Io lo conoscevo già, conoscevo i genitori: parlava molto romano, usai i provini tenendoli muti e dalla faccia capii che funzionava, senza obbligarmi a sentire quell’accento romanaccio… Alessandro poi è diventato una specie di fratello minore, i suoi genitori non erano giovanissimi, quindi spesso stava con me e mia moglie. È morto poco prima che nascesse mio figlio, ma l’affetto per lui rimarrà per sempre». Malizia fu il film cruciale per la sua carriera: «Curiosamente piacque alle donne, non fu mai considerato antifemminista». Però… «Ho avuto dei problemi con la censura televisiva che mi ha fatto rinunciare a 22 minuti di film: se lo vedi non si capisce assolutamente niente…». Autocritico e spietato su Malizia 2000, flop inatteso e doloroso: «Fu un’operazione terrificante…». L’autoanalisi più schietta arrivò quando, in un’intervista, approfondì il suo rapporto con le donne, che aveva dato spunti per tante interpretazioni diverse e contraddittorie: «Cominciamo subito con lo sgombrare il campo dagli equivoci: io non ho mai raccontato la storia di una donna, io ho raccontato e continuerò a raccontare come vedo io le donne, e le vedo sempre con lo sguardo del ragazzino che sono stato. Vedo quel tanto di misterioso che hanno, ma anche lo straordinario coraggio… Io, senza il coraggio di mia moglie, non avrei mai fatto il regista: è lei che a trent’anni, mentre io ne avevo venti, mi ha detto: se sei capace, vai, fai! E mi ha permesso di lavorare…».
Gli intellettuali più famosi si interessarono del caso Samperi. Alberto Moravia scrisse: «Il moralismo di Samperi, come tutti i moralismi, è un umanesimo; esso attacca i mass media e il neocapitalismo in difesa dell’integrità umana minacciata. In altri tempi si sarebbe detto che Samperi è un idealista». Dacia Maraini collaborò con lui: «Samperi era una persona deliziosa: entusiasta, generoso, gentile, ricordo che abbiamo lavorato molto bene insieme. Scrivevamo da me o a casa sua, con l’affettuosissima moglie che ci raggiungeva all’ora dei pasti. Samperi aveva avuto un grande successo con Grazie zia, il suo film precedente. Ma poi con i successivi il nostro Cuore di mamma (1969) e con Uccidete il vitello grasso e arrostitelo (1970) non ha avuto il riscontro che i due film invece meritavano. Samperi, secondo me, resta un regista da riscoprire». Ricordo anche due suoi attori. Lino Toffolo: «Era un divo nascosto, uno che non aveva mai saputo vendersi troppo». E Lisa Gastoni, la protagonista di Grazie zia: «Un giorno arriva e mi dice: “è finita la pellicola” e io di rimando “e allora vacanza?”. Lui preoccupato mi risponde “devo andare a Roma a comprarla, ma senza soldi non vado…”. Gli ho dato un assegno da 3 milioni… ma sono cose belle, è questo il cinema!».
Samperi era nato a Padova il 26 luglio 1944 da una famiglia benestante. Abbandona l’università nel 1967 per aderire al Movimento studentesco. Maoista sui generis, ribelle e di tendenze anarchiche. A vent’anni conosce la futura moglie, più grande di lui di dieci anni: sarà lei a sostenerlo nella scelta di diventare regista. Nel 1968, con pochissimi fondi, dirige Grazie zia. Nel 1991, dopo l’insuccesso di alcuni film, smette di fare cinema. Torna dietro la macchina da presa nel 2004 per girare alcune fiction: Madame, L’onore e il rispetto e Il sangue e la rosa. Muore improvvisamente, all’età di 64 anni, il 4 marzo 2009, nella sua casa vicina al lago di Bracciano. In carriera ha diretto 24 film, quasi sempre ha curato anche soggetto, sceneggiatura e casting. A volte ha portato in scena le sue idee politiche: al centro sempre il disfacimento delle famiglie borghesi. Si dichiara vicino al maoismo, nel 1976 firma Sturmtruppen, tratto dalle vignette di Bonvi, in cui aggiunge una vena antimilitaristica. Il film è un buon successo: con un sequel, Sturmtruppen 2, nel 1982.
Infine, si registrano episodi spiacevoli. Durante la detenzione dell’anarchico Pietro Valpreda (accusato della strage di piazza Fontana e in seguito riconosciuto innocente e assolto) firma, come tanti altri intellettuali, un documento di accusa contro il commissario Luigi Calabresi, oggetto di una campagna denigratoria (verrà poi assassinalo nel 1972) per la morte di Giuseppe Pinelli. Un altro episodio triste, la lite giudiziaria con la sua attrice adorata. Per il film Malizia 2000 sia Samperi che il produttore indussero Laura Antonelli a sottoporsi alle cure di un chirurgo estetico, il quale le praticò delle iniezioni di collagene al viso, per nascondere alcuni difetti tipici dell’età. Purtroppo il risultato fu quello di deturpare i lineamenti dell’attrice. Ebbe così inizio un lungo processo civile. Secondo i legali di Laura, l’attrice fu sfigurata a seguito di una reazione allergica alle sostanze iniettate. E venne chiesto un risarcimento di 30 miliardi di lire. Dopo 13 anni, il tribunale di Roma respinse la richiesta di maxi risarcimento e sentenziò che le alterazioni dermatologiche patite da Laura Antonelli non potevano essere attribuite alle sostanze iniettate, bensì a una reazione allergica nota come edema di Quincke. Il chirurgo plastico fu scagionato da ogni accusa, così come il produttore e Salvatore Samperi.