Qualunque provvedimento che disponga l’affido condiviso di un minore e ne disciplini il diritto di frequentazione con il genitore non collocatario, non trascura di prevedere espressamente il calendario di visita nel periodo estivo.
La prassi vuole, con specifico riferimento ai tre mesi di sospensione delle lezioni scolastiche, che il genitore non collocatario trascorra almeno due settimane (preferibilmente consecutive) con il figlio; al minore viene così garantita la possibilità di sperimentare – o rafforzare – la quotidianità e la confidenza con il genitore che, nel corso dell’anno scolastico, vede, di media, per non più di due giorni consecutivi.
Nella restante parte del periodo estivo, il minore resta invece affidato alle cure del genitore collocatario, il quale – seppur sospeso l’ordinario calendario di frequentazione – deve garantire all’altro la regolarità e la frequenza dei contatti con il figlio.
Questo, nel rispetto del principio della bigenitorialità, che non ammette che, per un periodo così lungo, il diritto dei bambini a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori possa essere in alcun modo sacrificato in nome del loro, indiscusso, diritto allo svago e al divertimento.
Quanto alle spese, normalmente e salvo diversi accordi tra i genitori, il costo delle vacanze deve essere sostenuto interamente dal genitore con il quale il figlio le trascorre. Questo, però, non implica certo una sospensione dell’onere di mantenimento che grava sul genitore tenuto al versamento di un assegno mensile in favore dei figli.
Estate alle porte, mamma e papà sono così chiamati a concordare come spartirsi i rispettivi periodi di vacanza, facendo conciliare impegni lavorativi, esigenze logistiche, preferenze geografiche e opinioni personali.
Ed è qui che, molto spesso, nascono le incomprensioni o, nei casi più estremi, i conflitti.
Per esempio, è frequente che il genitore in partenza con minore al seguito, a ridosso della vacanza, non abbia ancora fornito all’altro tutti i dettagli (destinazione, orari del viaggio, indirizzo, recapiti), così disattendendo quell’onere informativo che – pur non espressamente disciplinato – è pacificamente ricondotto al dovere di collaborare nell’interesse della famiglia, previsto dall’art. 143 c.c.
Nelle separazioni più conflittuali, inoltre, proprio la gestione del periodo che, per antonomasia, è sinonimo di spensieratezza e serenità, può diventare la scena perfetta per mettere in atto l’ennesima battaglia: accade così che un genitore, con un pretesto, arrivi a negare il proprio consenso al rilascio dei documenti validi per l’espatrio dell’altro – o del figlio minore – impedendone la partenza. Considerato, però, che questo diniego dev’essere sorretto da motivazioni fondate sul concreto pregiudizio che, dall’espatrio, potrebbe derivare al minore, il genitore vittima dell’ostruzionismo dell’altro può chiedere l’intervento del Giudice Tutelare il quale, svolti gli opportuni accertamenti, se ritenuto, potrà “scavalcare” il dissenso pretestuoso opposto da uno dei due e autorizzare la partenza.
In definitiva, buon senso e collaborazione restano gli ingredienti determinanti (ma molto rari) per non rovinare ai bambini il periodo più atteso durante tutto l’anno.
Perché la responsabilità genitoriale, da qualunque punto la si guardi, non va mai in vacanza. O almeno non dovrebbe.
Benedetta Di Bernardo, Repubblica.it