(di Cesare Lanza per LaVerità) Scommettiamo che le vacanze – agosto infuria! – hanno un significato diverso per ciascuno di noi? Ho chiesto riflessioni e ricordi ad alcuni amici, ve li proporrò in questo torrido mese. La prima risposta arriva da Corrado Calabrò, per una vita capo di gabinetto di fiducia di importanti ministri e, da sempre, poeta premiato in mezzo mondo. Ecco qui: «D’inverno studio, orari da rispettare, impegni da onorare, applicazione ai programmi impostimi. Non si scherzava con lo studio, a casa mia. Mi veniva continuamente portato a raffronto (dai professori ancor più che da mio padre) l’esempio dei miei fratelli… L’estate era vacanza, vacatio da qualsiasi imposizione. Era il tempo della libertà; era il mio tempo. Vivevo in una casetta ai bordi della spiaggia a Bocale, solo a 15 chilometri da Reggio Calabria. Ma allora era come Macondo; la vita era rimasta indietro di un secolo. Dopo il tracollo finanziario di mio padre, ci era rimasta solo l’immensa cantina, nella quale l’intero abitato di Bocale si era rifugiato, in mezzo alle botti, la notte del bombardamento aereo navale che preparò lo sbarco degli alleati. Da giugno a ottobre vivevo in quella casetta, accudito da una colona, recordwoman mondiale di velocità nello spennare le quaglie. Soltanto il sabato sera e nel mese di ferie mi raggiungeva mio padre. Mia madre e le mie sorelle, nel mese di luglio. -La solitudine mi stringeva il cuore. Andavo a pesca coi pescatori di notte. Andavo a caccia, all’alba. E leggevo, furiosamente. Fu lì, fu allora che provai per la prima volta l’impulso a poetare. Quel mondo venne spazzato via quando avevo 16 anni: la terra passò di mano e io non ci rimisi più piede, come se non esistesse più».