Bufale e troll di certo non aiutano la credibilità di un social network. E questo sembra proprio essere il momento in cui le piattaforme debbano pagare mesi e mesi di scandali e critiche. A suon di declino nel numero di utenti e crescita nei ricavi deludente. Arrivano i risultati della trimestrale di Facebook ed è codice rosso: doppio crollo in Borsa (in chiusura del 24 per cento, in apertura il giorno seguente del 18) e oltre 120 miliardi di dollari bruciati in poche ore. Segue Twitter e anche qui le notizie non sono buone.
I cinguettii non sono più così rumorosi come un tempo. Il numero di iscritti sta calando. Nel secondo trimestre dell’anno se ne contano (ogni mese) 335 milioni. Un milione in meso rispetto al trimestre precedente. E il Paese che conta più disertori pare essere il suo Paese natale, gli Stati Uniti. C’è da dire che il social network si è recentemente impegnato ha eliminare un buon numero di account falsi, per incoraggiare interazioni «salutari» ed evitare il più possibile il proliferare di insulti o attacchi mirati e tendenti all’odio. C’è da dire (anche) che da maggio in Europa è in vigore un nuovo Regolamento sulla privacy, che ha inevitabilmente influito su questo tipo di piattaforme. C’è da dire (e lo dice il Ceo Jack Dorsey) che guardando all’anno precedente c’è una crescita dell’11 per cento. Ma i numeri preoccupano e gli investitori reagiscono. La conseguenza è un crollo in Borsa del 14 per cento all’apertura di Wall Street.
Per quanto riguarda i conti, Twitter mantiene più o meno dritta la rotta, con un incremento del 24 per cento anno su anno dei ricavi (che arrivano a 711 milioni). Qui si superano addirittura le attese degli analisti, che prevedevano una cifra pari a 696 milioni. Ma la pressione rimane: Twitter è un social network a cui non si sente più la necessità di iscriversi. Dove trovano sfogo propagande terroristiche, incitamenti all’odio e — soprattutto — disinformazione.
Michela Rovelli, Corriere.it