Stop alla quota del tfr in busta paga, misura voluta dal governo Renzi e rimasta in vigore in via sperimentale fino alla fine di giugno ma ora non rinnovata dal governo Conte. L’intervento era mirato a garantire un po’ di liquidità in più a chi si trovava in difficoltà economiche. Per il periodo che è andato da primo marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato – ad eccezione dei lavoratori domestici e di quelli del settore agricolo – con un rapporto di lavoro da almeno sei mesi, hanno potuto richiedere al datore di lavoro la liquidazione della quota maturanda del trattamento di fine rapporto (TFR) sotto forma di integrazione della retribuzione mensile. È proprio questa la possibilità che ora viene a mancare.
Ai fini della corresponsione, i datori di lavoro potevano accedere a un finanziamento assistito da garanzia rilasciato da uno specifico fondo appositamente costituito presso l’Inps. Tutto ciò ora non sarà più necessario. In questi anni la misura è stata sfruttata nei momenti di picco da poco più di 200 mila dipendenti su una platea di 15 milioni, l’1,3%. In tutto i lavoratori che hanno sfruttata questa opportunità per almeno un mese tra 2016 e 2018 sono stati 387.500.
Rita Querzé, Corriere.it