Davvero la Brexit è stata un evento traumatico, un salto nel buio? Si tratta del risultato di una semplice spinta populista? Da queste domande parte il libro “L’altra Brexit. Geopolitica & Affari” di Bepi Pezzulli, avvocato d’affari e fondatore di Select Milano, la lobby che da tre anni lavora al disegno di associare il capoluogo lombardo alla City di Londra per cogliere le nuove opportunità finanziarie e geopolitiche offerte dalla Brexit.
La tesi dell’autore va contro la tradizionale lettura offerta dai media, soprattutto quelli italiani: secondo Pezzulli l’uscita del Regno Unito dall’Ue è il frutto di un lungo processo studiato con anni d’anticipo e preparato con strategica maestria. A tessere questo disegno, dimostra l’autore, è stata una frangia euroscettica ben posizionata nelle istituzioni britanniche, preoccupata per il ruolo eccessivamente predominante della Germania nell’Ue, e gli hedge funds inglesi, preoccupati per gli squilibri nel bilancio commerciale dell’Europa.
Secondo Pezzulli, alla base della vittoria del Leave c’è l’insofferenza inglese per un’Unione europea percepita sempre più come pangermanica e il timore che il surplus dell’economia tedesca (pari al 9% del Pil) e l’irrigidirsi delle normative europee su banche e investimenti rischiassero di compromettere la redditività delle imprese di Londra.
Così, ben prima che il premier David Cameron istituisse il referendum sulla permanenza inglese nell’Ue, Londra ha cominciato a lavorare dietro le quinte per cercare nuovi sbocchi a livello mondiale che le garantiscano libertà e autonomia. Si è quindi spostata verso le due potenze asiatiche, la Cina e l’Arabia Saudita.
Pechino offre a Londra la possibilità di diventare il terminale occidentale della Belt and Road Initiative di Xi Jinping (un progetto di collegamento fra l’Estremo Oriente e il continente europeo, sulla falsariga dell’antica Via della Seta). In cambio, davanti all’esigenza di Pechino di internazionalizzare la propria moneta e grazie allo sviluppo di un pool di liquidità cinese sulla piazza finanziaria di Londra, la valuta cinese renminbi è stata fatta entrare nel paniere delle monete di riserva del Fmi. In queste operazioni sono coinvolte le banche centrali, la Bank of England (Boe) e la People’s Bank of China (Pboc), che si sono accordate per assicurare le garanzie sulle contrattazioni. La China Construction Bank (Ccb), invece, gestisce la fase di liquidazione e regolamento delle transazioni denominate nella valuta cinese sul territorio britannico.
Sul fronte delle relazioni con l’Arabia Saudita, la strategia inglese punta ad Aramco, la compagnia petrolifera di stato, da privatizzare nel 2019 (in concomitanza con la Brexit), per finanziare la Visione 2030 di Mohammed Bin Salman.
La finanza islamica risponde alle esigenze di banche e investitori internazionali di diversificare i portafogli, ma svolge anche un’altra funzione. Londra punta a trasformare la numerosa popolazione musulmana risiedente nel Regno Unito in un valore aggiunto per la propria economia. Gli investimenti islamici offrono fonti di finanziamento alternative alle pmi e alle infrastrutture pubbliche e il capitale medio-orientale si è rivelato fondamentale per la rigenerazione urbana (si considerino come esempi lo Shard, il grattacielo di Renzo Piano lungo il Tamigi, il villaggio olimpico London Gateway e i progetti di edilizia popolare di Manchester e Birmingham).
Grazie al legame costruito con la finanza cinese e islamica, il Regno Unito si è così potuto “sganciare” dall’economia europea per costruire quello che, con una certa suggestione, si potrebbe definire Impero britannico 2.0, una sorta di prosecuzione moderna dell’antico dominio inglese. Lo scopo di questa strategia, sostiene Pezzulli, è quello di fare di Londra la nuova Singapore dell’Atlantico, e riposizionarsi tra gli Usa ad Occidente e la Cina ad Oriente, recuperando un ruolo centrale nel commercio internazionale.
Questi nuovi assetti geopolitici, sostiene Pezzulli, costituiscono un’occasione unica che l’Italia deve saper cogliere al volo per riformare la propria economia. Roma, approfittando della Brexit, può acquistare un ruolo d’influenza nella governance dell’Unione europea e costruire forti rapporti bilaterali con Londra. In particolare, Milano rappresenta la candidata ideale per diventare la nuova City dell’Eurozona, considerando che tra Londra e Milano esistono già legami finanziari molto forti: il London Stock Exchange Group aveva investito nell’acquisto del gruppo Borsa Italiana, proteggendo Londra dalla competizione di Parigi e Francoforte. Con la Brexit, sostiene Pezzulli, l’interesse nazionale britannico e italiano si allineano nello sforzo di trovare una via d’uscita alla “germanizzazione” dell’Unione Europea. Ma perché l’obiettivo di fare di Milano la nuova capitale finanziaria europea sia concretamente possibile è necessario adottare una serie di misure.
Innanzitutto, il nuovo governo italiano deve impegnarsi a promuovere un panorama normativo di natura privatistica, adatto alle relazioni d’affari. Scopo di questo nuovo codice è agevolare la collaborazione tra operatori finanziari, imprese e libere professioni. Diventa poi fondamentale adottare tutti gli strumenti (normativi e soprattutto finanziari) per facilitare l’arrivo o il rientro nel nostro Paese di professionisti ad alta qualificazione.
E si fa sempre più urgente la necessità di riformare e velocizzare il sistema della giustizia, soprattutto per evitare che le eventuali controversie tra investitori e intermediari possano ricadere sulla magistratura ordinaria. Si dovrebbe quindi, tra l’altro, consolidare e ampliare il nuovo Arbitro per le controversie finanziarie, attivo dal 2017 presso la Consob.
Nonostante la sconfitta di Milano per ospitare l’Agenzia europea del Farmaco, se il nuovo governo dimostrerà coraggio e intraprendenza, l’Italia ha ancora molte carte da giocare per dare nuova centralità a Milano nell’area euro e rafforzare così la posizione atlantica italiana in politica estera.
Francesca Parodi, Business Insider