L’interesse tra amministratori delegati, responsabili dell’innovazione, professionisti, per la business intelligence, i big data e gli analytics non è mai stato così forte. Nelle grandi aziende e nei grandi studi professionali, anche per il 2018, gli investimenti in questi settori sono in aumento. Eppure sono ancora moltissime le imprese che non conoscono e che non utilizzano questi strumenti di frontiera per migliorare la propria competitività. A causa della estrema frammentarietà del sistema produttivo italiano, fatto soprattutto di piccole e medie imprese, meno del 3% analizza i propri dati derivanti da dispositivi intelligenti o sensori, solo il 3,25% analizza dati di geo localizzazione derivanti dall’utilizzo di dispositivi portatili e meno del 3% analizza dati generati dai social media.
Numeri che collocano l’Italia tra i paesi in via di sviluppo dal punto di vista dell’utilizzo delle tecnologie informatiche. Paradossalmente, una inversione di rotta potrebbe arrivare proprio dai nuovi obblighi fiscali. Per tutte le imprese italiane il primo vero appuntamento con i dati massivi sarà infatti la fatturazione elettronica, che potrebbe trasformarsi quindi in uno strumento per migliorare lo sfruttamento delle potenzialità offerta dai dati già in proprio possesso.
A partire dal 1° luglio l’Agenzia delle entrate ha reso disponibile gratuitamente un nuovo software con una procedura stand alone per generare le fatture elettroniche. La stessa è stata resa disponibile tramite app, per smartphone e tablet, che consente, oltre alla generazione delle fatture, anche l’invio delle stesse. Contemporaneamente è stato reso disponibile un quick code che consentirà di acquisire i dati del cliente senza doverle imputare di volta in volta.
Nonostante il rinvio di sei mesi dell’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica per i benzinai, una cosa è sicura: il processo non si fermerà. Ed è facile prevedere che i passi successivi, peraltro già ampiamente annunciati dall’Agenzia delle entrate, saranno quelli della tenuta della contabilità e della dichiarazione Iva precompilata per piccole imprese e lavoratori autonomi.
Non mancheranno certamente i mille problemi pratici, molti professionisti dovranno rimodellare la propria attività, ma è probabile che da questo processo inevitabile di digitalizzazione uscirà rafforzato chi l’avrà affrontato come un’opportunità e non come un obbligo. Lo stesso vale per le imprese.
Il Politecnico di Milano ha pubblicato pochi giorni fa una ricerca dalla quale emerge che il risparmio per le imprese derivante dall’introduzione della fattura elettronica è stimabile tra i 5,5 e gli 8,2 euro, ma si arriverebbe fino a 80 euro per ciascuna fattura se a essere digitalizzato fosse l’intero ciclo dell’ordine. Eppure, malgrado i vantaggi ormai evidenti del passaggio da una gestione per documenti a una gestione per flussi di dati, la propensione alla conversione al digitale è ancora bassa: più di un’azienda su due, in Italia, investe meno dell’1% del proprio fatturato in progetti di digitalizzazione. Ma tra le aziende che hanno imparato a utilizzare i big data, tre società su quattro (71,4%) riescono ad aumentare la produttività o il fatturato e a sviluppare nuovi processi e prodotti.
Ciò che fa la differenza è la capacità di analisi dei dati e la capacità di estrarre valore dagli stessi: non è particolarmente complesso e non richiede grandi professionalità la lettura dei dati già nella disponibilità delle imprese, e non bisogna superare grandi difficoltà per cogliere correlazioni tra gli stessi non immediatamente percepibile ad una lettura superficiale. È ormai prassi delle aziende di maggiori dimensioni analizzare con sofisticati algoritmi milioni di clienti e centinaia di informazioni, transazionali e comportamentali. Ma questo non è sufficiente per estrarre dai big data tutte le loro potenzialità. Il punto di svolta è la capacità di utilizzare i dati in senso predittivo. Trasformarli in strumenti affidabili per le scelte strategiche, quelle che gettano le basi dell’impresa di domani. Avere informazioni che, sulla base dell’analisi raffinata dei trend del passato, riescano a prevedere quelli del futuro. È evidente che per ottenere risultati del genere sono necessari oggi investimenti, conoscenze, professionalità non disponibili per la maggior parte delle piccole e medie imprese. Solo grandi organizzazioni possiedono, al momento, le capacità finanziarie, organizzative e culturali per percorrere fruttuosamente questa strada. La conseguenza è che big data e business intelligence stanno facendo crescere il dislivello tra grande e piccola impresa.
Marino Longoni, ItaliaOggi