E’ tempo di dichiarazioni dei redditi, e per chi ha tentato la lotteria del bitcoin, e ha vinto, è arrivato il momento di versare le tasse dovute, pari al 26% delle plusvalenze. L’Agenzia delle entrate ha definito il da farsi attraverso la Direzione Regionale della Lombardia. In sostanza alle criptovalute viene applicato lo stesso regime previsto per le valute straniere. Sono due i quadri a cui fare riferimento: quello RW e quello RT. Nel primo va indicato il valore delle somme in bitcoin possedute al 31 dicembre 2017, nel secondo le plusvalenze sulle quali va pagata l’imposta.
Serve il modello unico
Per prima cosa va chiarito che “il quadro RW c’è soltanto nel modello unico – spiega Gabriele Varrasi, dello studio legale Vmd Law di Torino, il primo in Italia a trattare la compravendita di un appartamento in bitcoin -. Quindi chi ha un 730 precompilato deve riversare le informazioni in un modello unico e integrarle col quadro RW”. L’importo posseduto alla fine del 2017 va indicato segnando il codice 14, che corrisponde ad “altre attività estere di natura finanziaria”, in colonna 3.
Il limite dei 15 mila euro
A rigore, andrebbe segnato solo se il controvalore è superiore ai 15 mila euro, perché questa è la soglia prevista per le valute estere. Ma l’Agenzia non si è espressa sul punto e, nel dubbio, meglio segnarlo. Attenzione: l’obbligo scatta solo se i bitcoin sono tenuti su una piattaforma online all’estero. “Se dispongo di bitcoin su una piattaforma estera è come se li custodissi all’estero, secondo gli orientamenti dell’Agenzia delle entrate”, spiega il colonnello Ivan Bixio, esperto in criptovalute della guardia di finanza. Se invece la piattaforma è in Italia non vanno indicati. E se i bitcoin uno li tiene sul proprio telefonino? Dipende. La questione riserva qualche insidia. “Si ponga il caso – scrive il tenente colonnello della Gdf e membro del Centro internazionale di diritto tributario Omar Salvini, in un articolo sul settimanale specializzato Il fisco – di uno smartphone posseduto da un contribuente che viaggia in vari Paesi. Quale sarebbe il luogo da indicare nella dichiarazione? Quello dove la persona ha dichiarato la propria residenza o dove trascorre la maggior parte del tempo?”. Una risposta certa al momento non c’è.
La quotazione di riferimento
Per quanto riguarda le plusvalenze, si pagano soltanto nel caso in cui le criptovalute possedute abbiano superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi. La cifra è pari a cento milioni esatti di vecchie lire, perché la norma affonda le sue radici ancora sulle speculazioni contro la nostra vecchia valuta. Qui però le cose si fanno ancora più complicate. Occorre infatti fare riferimento, si legge nell’articolo 67 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), “al cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento”. Insomma al primo gennaio. Col risultato, segnala Stefano Capaccioli, autore di “Criptovalute e bitcoin. Un’analisi giuridica” (Giuffré Editore), “che se uno ha comprato 10 bitcoin a una quotazione di duemila euro e li ha rivenduti quando era salita a 15mila, con una plusvalenza di 130mila euro, secondo questa interpretazione non paga imposte, perché al primo gennaio la quotazione era sotto i mille euro, quindi il suo valore era meno di 10mila euro”.
“In realtà ci sono diverse modalità di calcolo – precisa Varrasi – a volte si prende la quotazione a fine anno, a volte la mediana, a volte il valore nel giorno di acquisto. Se uno vuole stare tranquillo, paga il 26% della plusvalenza se il valore del suo portafoglio ha ecceduto i 51 mila euro per una settimana di seguito. In questo modo nessuno potrà mai contestarlo”.
“Al fine di detenzione per la prova – suggerisce Salvini – si potrebbe anche ipotizzare di eseguire uno screenshot dell’operazione finanziaria visualizzata nel digital wallet, anche se ciò potrebbe non essere sufficiente per il fisco”.
L’antiriciclaggio
E se qualcuno vuole evadere evitando totalmente di dichiarare il possesso di bitcoin? La tentazione può venire. Meglio farsela passare, perché prima o poi andranno riconvertiti in euro e gli istituti finanziari, per la normativa antiriciclaggio, sono tenuti a segnalare operazioni sospette, come incassi ingenti non giustificati dai redditi di un cliente, nonché tutte le movimentazioni da e verso l’estero che superino i 15 mila euro. E “la normativa prevede che le informazioni acquisite per l’antiriciclaggio possano essere usate dalla guardia di finanza anche ai fini fiscali”, spiega Bixio.
Cos’è la criptovaluta
Il tema però resta: come va considerata la criptomoneta? “L’Agenzia delle entrate sbaglia, il bitcoin non può essere considerato una valuta”, attacca Capaccioli. In effetti ad aprile la Commissione europea ha approvato le modifiche alla quinta direttiva antiriciclaggio, stabilendo che una valuta virtuale “non possiede lo status giuridico di valuta o moneta”. E infatti dentro la stessa Agenzia delle entrate ci sono stati malumori sulla scelta del quadro RW. Ma occorreva una soluzione pratica per permettere intanto ai cittadini di versare il dovuto. Ci sarà tempo per raffinare i metodi.
Fabio De Ponte, La Stampa