Venerdì è partita la nuova protesta per gli scatti di stipendio. Gli studenti accusano: «Così perdiamo le borse di studio»
Pare proprio che negli atenei italiani i ruoli si siano invertiti. Ai professori la parte dei riottosi determinati a scioperare e agli studenti quella dei moderati, con petizioni e appelli al «buonsenso» e a un «ripensamento, fondamentale in una fase così delicata per il Paese». Venerdì è iniziato lo sciopero degli esami, il secondo promosso dal Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria. Lo scorso settembre oltre 11mila accademici in tutta Italia – quasi una quarto del totale – decisero di saltare il primo appello della sessione invernale per protestare contro la sospensione degli scatti di anzianità tra il 2011 e il 2015, poi ripristinati ma mai più del tutto recuperati. Un cruccio per chi ancora insegna, di più per chi è prossimo alla pensione.
Risultati parziali
Qualche cosa sono riusciti a ottenere, un premio in denaro una tantum e un parziale ripristino degli scatti, anche se con un meccanismo parecchio complicato che fa recuperare quanto perduto nel tempo. Bene per i più giovani, un po’ meno per chi è a fine carriera.
Così con la sessione estiva si replica. Oltre 5mila accademici hanno già deciso di aderire allo sciopero, con una nuova protesta che va oltre gli scatti e comprende pure la richiesta di 80 milioni di euro per garantire una borsa di studio agli studenti idonei non beneficiari, cioè chi ne ha diritto ma non la può avere perché i soldi per tutti non ci sono, e nuovi fondi per assunzioni e progressioni di carriera per professori associati, ordinari e ricercatori. Pur condividendo in linea di principio i motivi dello sciopero, gli studenti ne contestano metodi e tempi. Far saltare un appello può essere un problema proprio per chi ha una borsa di studio e la deve mantenere, con il calcolo dei crediti che si chiude a inizio a agosto.
Migliaia di firme
Oltre 50mila ragazzi hanno firmato la petizione lanciata dall’associazione studentesca Link, che sottolinea «la mancanza di un interlocutore politico» in un contesto così precario da «far passare in sordina le giuste rivendicazioni di fronte ai giochi di potere». «Gli unici a subire il disagio dello sciopero saremo noi – chiosa Andrea Torti, studente di Statistica e coordinatore nazionale di Link – Meglio costruire un fronte unitario, rilanciare lo sciopero nel primo periodo utile e magari bloccare le lezioni universitarie. Quella degli accademici è una battaglia giusta, ma va fatta con tutta la comunità universitaria». Meglio se con un Governo in carica. Pure l’Unione degli Universitari chiede di ritirare uno sciopero che «in un contesto di crisi istituzionale non potrà dare risposte alle giuste rivendicazioni». A capo del Movimento c’è Carlo Ferrara, professore del Politecnico di Torino in pensione. In risposta ad appelli e petizioni, sospira e ripercorre gli ultimi tre anni di proteste. Tutte senza successo, tranne il salto d’appello. «Sappiamo che è un problema per i ragazzi. Ma le abbiamo tentate tutte. Prima le lettere alle istituzioni, ma nessuno tranne il Presidente della Repubblica ci ha degnato di una risposta. A chi interessa se facciamo lezione o no? Il salto dell’appello è l’unica strategia che può far discutere e fa vedere quanti siamo a protestare. A settembre ha funzionato per gli scatti. E non immaginatevi stipendi e pensioni da favola, le cose sono cambiate e pure parecchio. Speriamo funzioni anche per il resto».
Le garanzie
Se Link ha ottenuto dalla Regione Lazio la garanzia di appelli ad hoc per chi deve prendere la borsa, il Movimento assicura che borsisti, laureandi e chiunque abbia un buon motivo per non saltare l’appello sarà ascoltato e accontentato. Sull’interlocutore che non c’é? «Qualcuno dovrà pur fare una legge di bilancio. Qualunque sia il Governo, noi dobbiamo farci sentire. Prima, non dopo. E così faremo».
NADIA FERRIGO, La Stampa